Il presidente Draghi partecipa al Consiglio europeo in videoconferenza
3 minuti per la letturaCosa fare e come farlo. La pandemia e la sua soluzione continua a ruotare attorno a questo, e su questo i capi di Stato e di governo sono tornati a confrontarsi per risposte fin qui parziali, confuse, inefficaci. I vaccini di AstraZeneca, prima pochi e poi tutti sospetti, quindi dichiarati sicuri ma sempre non disponibili. E poi, come e quanti averne, come ripartirli. Il vertice dei leader è stato accompagnato da tutto questo, e a tutto questo si cerca di dare risposte. Senza fare drammi, evitando tensioni e soprattutto divisioni. Se da più parti è arrivato l’appello alla calma e all’approccio costruttivo è segno che qualcosa non va. L’Europa sui vaccini rischia di perdersi, e va tenuta la barra a dritta.
I leader sono d’accordo che la creazione di un passaporto vaccinale sia una buona idea, ma che richiede tempo per essere tradotta in pratica. La Commissione ha messo sul tavolo le sue proposte, che i capi di Stato e di governo accolgono con favore ma con pragmatismo. In questo momento non spetta al Consiglio prendere decisioni, rinviate in attesa dei lavori a livello tecnico che suggeriscano soluzioni pratiche e praticabili.
Se sul “certificato verde”, come viene definito il passaporto vaccinale, c’è un’intesa di massima il vero problema sul tavolo riguarda quella delle forniture dei vaccini. In sintesi, AstraZeneca. L’unica compagnia farmaceutica indietro con le consegne, in violazione dei contratti stipulati. I malumori non mancano. La Francia è tra quelli che invitano a mantenere i nervi saldi. Ci sarebbe un’opzione che vorrebbe il blocco di fiale Pfizer verso il Regno Unito come risposta ai mancati arrivi di AstraZeneca da oltre Manica. “Sarebbe molto serio” e per questo poco praticabile, confidano funzionari diplomatici. “Il problema dell’Europa è innanzitutto con AstraZeneca, e dunque la questione è trovare una soluzione per aiutare la produzione”.
È attorno al rilancio della capacità produttiva che si concentrano gli sforzi dei governi, che intanto litigano sulle quote nazionali. Austria, Bulgaria, Croazia, Lettonia, Slovenia e Repubblica ceca sostengono che non si sta tenendo conto della popolazione, uno dei fattori di distribuzione delle dosi per Paese. Accuse respinte. Si tratta di strategie nazionali mandate a monte dai mancati arrivi di AstraZeneca. “Qualcuno ha puntato di più su una marca di vaccini, qualcun altro su altre. Ora non si può rimettere in discussione un sistema logico, volontario e concordato”, il punto di vista degli altri, come espresso da un addetto ai lavori. Paesi divisi, con il Parlamento europeo che cerca di rimettere in riga un po’ tutti, a partire dal blocco dell’est.
“Ho voluto mandare un richiamo ai richiamo ai leader per fare insieme, e non scaricare sull’UE quello che loro non riescono fare”, spiega un duro David Sassoli, al termine del suo incontro con i Ventisette. “Scaricare tutto sull’Ue non è un buon messaggio”, sibila il presidente del Parlamento europeo, che invita le capitali a “non scaricare sull’Unione europea carenze derivanti da inefficienza dei sistemi nazionali”.
A chi tenta di rompere le righe e procedere in maniera isolata viene ricordato che “nessuno ce la può fare da solo”. Per questo serve “unità”, occorre sangue freddo e “considerare bene dove e come questi vaccini possano essere prodotti in maniera massiccia e destinati a soluzioni di utilità”. Richiami, quelli di Sassoli, che danno il senso delle divisioni attorno al tavolo.
Un tavolo che guarda con attenzione agli Stati Uniti. Per la prima volta dal 2009 un presidente Usa partecipa al vertice del Consiglio europeo. Si vuole riallacciare una partnership trans-atlantica dopo cinque anni di liti e attriti. I vaccini potrebbero essere un ambito di rinnovata cooperazione. Nessuno si sbilancia, ma c’è l’augurio condiviso che qualche nuova dose “extra” possa arrivare in Europa grazie all’appoggio americano. In attesa che AstraZeneca inizi a produrre e consegnare come promesso.
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