Il presidente Ucraino Zelensky al vertice Nato di Vilnius
5 minuti per la letturaUN PEZZO di storia mi è tornato in mente quando ho letto l’articolo di Ilvo Diamanti su Repubblica, dove il guru del politicamente corretto, spiega – con tanto di grafici e tabelle – che gli italiani sono stufi della guerra in Ucraina e non si sentono vicini né all’Ucraina, né alla Russia (una variante aggiornata del “o Franza o Spagna, purchè se magna”).
Durante la Battaglia d’Inghilterra, Winston Churchill aveva costituito un servizio informazioni che accertasse (ovviamente con i mezzi di quei tempi) il morale della popolazione dopo ogni massiccio bombardamento notturno della Luftwaffe di Goering. Il grande statista britannico era consapevole di trovarsi in una condizione difficile, non ignorava che una parte importante del suo partito avrebbe voluto intavolare trattative con Hitler. Poi gli inglesi combattevano da soli. Roosevelt era riuscito a marzo del 1941 a far approvare al Congresso la legge ‘’Affitti e prestiti’’ (una misura analoga a quella promossa da Joe Biden all’inizio della guerra in Ucraina): un provvedimento che – in un clima di isolazionismo marcato – consentiva di aiutare, anche con l’assistenza militare, altri paesi quando ciò corrispondesse all’interesse dagli Usa, che entrarono in quella solo a dicembre dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour. La pressione tedesca sulle Isole Britanniche si ridusse nel giugno del 1941, quando Hitler invase l’URSS aprendo un fronte di 3.500 Km e penetrando in poche settimane nel territorio per 1.500 km. Ma per lunghi mesi il Regno Unito era rimasto solo e con il timore di un’invasione. Era quindi comprensibile che anche il popolo dedito della speranza e della gloria si perdesse d’animo, nonostante il valore dimostrato, in quei mesi di solitudine, dall’aviazione inglese: una prova di eroismo quotidiano che consentì a Churchill di affermare: “Mai così tanti dovettero così tanto a così pochi”.
Anche se allora non c’erano la tv e quindi neppure i talk show a cui invitare – come è norma da noi con i prosseneti di Putin – i seguaci di Oswald Mosley, il leader del Partito fascista britannico ad esprimere le loro valutazioni sul conflitto, Churchill teneva conto dell’opinione pubblica, perché sapeva che le incursioni aeree puntavano a fiaccare il morale delle popolazioni che di notte – se riuscivamo a fare a tempo – si rinchiudevano dei rifugi sotterranei della Metropolitana. Del resto anche Putin adopera lo stessa tattica; non vuole sconfiggere sul campo l’esercito ucraino; ha scelto di demolire – facendo terra bruciata di città, infrastrutture, servizi civili – lo spirito di resistenza di quel popolo valoroso, a suo avviso, responsabile di “patriottismo”.
Siamo stufi della guerra in Ucraina? Era la stessa domanda che si faceva Winston Churchill ogni mattina. Ma era un conto per gli inglesi sentirsi “stanchi” quando piovevano le bombe dal cielo su Londra; è ben diverso essere stanchi, in Italia, quando le bombe e i missili cadono su Odessa o Kiev. Poi non esiste una sorta di terra di nessuno in cui rifugiarsi quando sono in campo un aggressore e un aggredito: in questo caso la neutralità è un aiuto all’aggressore. Anche fornire i dati con “non calanche” è un modo di schierarsi. Perché dai dati di Diamanti emerge un profilo da “italiano brava gente” che non ci fa onore. Di cosa siamo debitori nei confronti dell’Ucraina se non della difesa dei confini e della libertà dell’Europa? Diamanti non avrebbe fatto un torto alla correttezza dell’informazione commentando la miseria morale che esce dai dati raccolti e dalle risposte ricevute. Avrebbe compiuto quell’opera di educazione a cui è tenuto un importante giornalista come Diamanti.
Gli italiani, siamo sempre pronti a parlar male di se stessi. Ci accusiamo di essere evasori, individualisti attenti al “particulare”, corrotti, maschilisti, omofobi, razzisti; ma siamo i primi a giustificare un diffuso senso di viltà che ci induce a girare al largo delle scelte complesse e dure che incontriamo lungo il cammino della storia. Siamo stufi della guerra in Ucraina? Che cosa ci ha dato il popolo ucraino, che cosa ha fatto anche nel nostro interesse? Le risposte sono in re ipsa, sempre che abbiano ancora un valore i principi di libertà, indipendenza, sicurezza nell’ambito del diritto internazionale e delle sue istituzioni. Che cosa rappresenta, oggi, la Nato? Una grande alleanza difensiva rivolta a garantire anche agli italiani un ordine mondiale regolato dal diritto e da una pace giusta. Che cosa ci ha tolto l’Ucraina, rifiutando di arrendersi? Nulla. Anzi chi ha aiutato a capire e a correggere degli errori capitali. All’inizio delle ostilità ci fu la campagna contro le sanzioni economiche nei confronti della Russia; si disse che avrebbero provocato il crollo dell’economia, mentre in verità il Paese ha imboccato un trend di crescita che ha stupito i nostri partner; si disse che non saremmo stati in grado non solo di lavorare ma anche di vivere senza il gas russo, mentre in sei mesi abbiamo dimezzato le forniture, nel nostro interesse, perché ci siamo accorti di quanto fosse stupido mettere l’arteria iugulare (la dipendenza energetica), a disposizione del coltello di un solo fornitore.
Come ebbe a dire durante il dibattito sulla fiducia al suo governo, Giorgia Meloni, il peso delle forniture militari italiane all’Ucraina non ha certo un’influenza determinante sulle sorti del conflitto (si è saputo peraltro che abbiamo fornito spesso solo scarti di magazzino), ma – aggiunse – se l’Italia si sottraesse al suo ruolo internazionale, avremmo fatto una volta di più la figura dell’Italietta. Poi la democrazia è il peggior sistema fatta eccezione per tutti gli altri. Essa si esprime con il voto e con la delega della rappresentanza a un Parlamento e a un governo, organi chiamati a prendere le decisioni necessarie quando viene il momento in cui occorre dire (copyright Costantino Kavafis) il Grande Si o il Grande No. Non si governa con i sondaggi.
Luciano Lama – quando qualcuno iniziava il suo intervento con le parole “i lavoratori dicono….” – lo interrompeva dicendo: “So quello che dicono i lavoratori; mi interessa sapere che cosa dici tu a loro”. Ecco perché il vertice di Vilnius – nonostante i suoi limiti – ha tanto più valore di tutti i sondaggi che tendono a disarmare le coscienze. Perché ha indicato ai popoli liberi quali sono i loro doveri politici ed etici.
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