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Che i russi amino comunicare attraverso le bombe lo abbiamo imparato in quasi tre mesi di guerra in Ucraina. Mai però avremmo pronosticato che una sedicente giornalista russa, in un messaggio sui propri profili social, potesse augurarsi il lancio di un missile su Torino in occasione di una gara canora.
Lo spunto è la vittoria della Kalush Orchestra dell’Ucraina all’Eurovision Song Contest 2022 che si è svolto al PalaOlimpico del capoluogo piemontese. La protagonista è Yuliya Vityazeva, reporter e conduttrice, volto del canale nazionale Rossija 1, parte del broadcast Vgtrk, citato da Ursula von der Leyen come voce della propaganda di Mosca (e, quindi, soggetta a sanzioni). Di fatto, parliamo di una agit-prop dell’ideologia bellica di Vladimir Putin.
GLI ATTACCHI SCOMPOSTI DEI GIORNALISTI RUSSI
La nostra amica guerriera è di casa sui talk show che, da Rete4 a La7, mandano in onda a canali unificati la propaganda del Cremlino. Benché dunque, nel momento in cui scriviamo, il suo account su twitter sia temporaneamente sospeso, siamo certi che i nostri italici conduttori faranno a gara in questi giorni per spartirsi l’ospite dopo le sue dichiarazioni a dir poco esplosive.
Perché mai – ci chiediamo – la vittoria della band ucraina all’Eurovision – con una melodia dal ballabile ritmo orientale dedicata a “Stefania”, la mamma del cantante frontman – ha mandato su di giri Yuliya Vityazeva, fino al punto di augurare alla imbelle Torino nientemeno che un Satan, appellativo sulfureo per un missile balistico intercontinentale pesante di fabbricazione sovietica?
Il belligerante anatema della vestale del tiranno di Mosca non è rimasto isolato. A darle man forte, sul sito web del quotidiano AiF, l’editorialista Vladimir Polupanov scrive che «la competizione ha un cattivo odore di palude in decomposizione» e che «quasi nessuno dei vincitori, ad eccezione degli Abba, è diventato una grande star». E, alla fine, etichetta lo spettacolo come una «noiosa televisione politicizzata e falsa».
L’ultimo paragrafo di questa sollevazione russa contro l’Eurovision va in scena a Zona Bianca – il talk show di Rete 4 tristemente noto per il microfono aperto alle corbellerie antisemite del ministro russo Sergej Lavrov – dove il giornalista russo Alexey Bobrowsky, nella puntata di domenica scorsa, minimizza l’impatto dell’Eurovision in Russia: «Non lo abbiamo visto, non ci interessa, non ho niente da commentare, non l’ho guardato» spiega in collegamento. E a proposito dell’esclusione degli artisti russi in Occidente accusa: «È una guerra psico-isterica contro la storia russa».
«RUSSI ROSICONI»
La spiegazione a questo ventaglio di reazioni da parte dei russi – dalla finta strafottenza all’auspicio di un bel bombardamento redentivo – la dà, proprio durante la medesima trasmissione retequattrista, il giornalista e producer tv ucraino Vladislav Maistrouk. Che per il (presunto) collega russo ha una sola parola: «Rosiconi!». Spiega con un sorriso Maistrouk: «Come si dice a Roma, si rosica a Mosca perché l’Eurovision per la Russia è sempre stato un evento molto importante» e i russi hanno sempre speso «un sacco di soldi per mandarci i loro artisti e per organizzarlo. È una questione di prestigio, come le Olimpiadi o il calcio».
La verità è che l’Eurovision Song Contest sarà pure uno spettacolo kitsch dal valore artistico modesto, ma è da sempre uno specchio degli equilibri geopolitici dell’Europa. Specie oggi che la Russia bombarda l’Ucraina. La gara nasce nel 1956 per promuovere l’amicizia tra i popoli europei, ma il regolamento vieta connotazioni politiche di ogni tipo. Gli oltre 200 milioni di spettatori annuali sono però un target imperdibile per chi ha bisogno di diffondere la sua agenda politica a livello popolare.
L’Eurovision ha un valore geopolitico neanche troppo nascosto. In origine, il campo dei partecipanti era limitato a una decina di Paesi dell’Europa occidentale. Nel tempo – proprio come è accaduto per la Ue e per la Nato – si è allargato verso oriente. Oggi può partecipare ciascun Paese membro della ’Uer (l’Unione Europea di Radiodiffusione): un ente che va dall’Islanda fino all’Azerbaijan.
Diversamente dalla Nato, Vladimir Putin non si è mai lamentato dell’espansione a oriente dell’Eurovision. Anzi, ha speso parecchio per organizzarlo nel maggio 2009 quando la gara si tenne a Mosca, appena un mese dopo la guerra di Cecenia, durante la quale aveva martoriato e raso al suolo la capitale Grozny proprio come oggi accade a Mariupol.
La Russia, infatti, partecipa all’Eurovision dal 1994, lo vince nel 2008 con la cantante Dima Bilan e, da quell’anno, lo trasmette dai suoi canali di Stato Pervyj kanal e Rossija 1 (quest’ultima parte della sanzionata Vgtrk). L’aggressione all’Ucraina, però, è costata cara. Dopo il fatidico 24 febbraio, la Uer ha escluso Mosca dall’edizione 2022 e, per rappresaglia, il 26 febbraio tutte le emittenti russe hanno interrotto l’affiliazione con l’ente paneuropeo.
LA STORIA SI RIPETE
Tutto sommato, la notizia dovrebbe aver fatto felice almeno il patriarca russo che, si sa, non ha grande simpatia per la lascivia dei costumi occidentali. Non esistono giudizi pubblici di Kirill sulla gara canora. Ma non osiamo immaginare lo sguardo di Kirill mentre Mika balla, canta e ammicca a milioni di fan in diretta. O mentre Mahmood e Blanco si sussurrano «Brividi» con l’amore negli occhi. O quando Laura Pasini si lancia in un ballo scatenato. Oppure mentre la Kalush Orchestra urla dal palco: «Salvate Mariupol, salvate Azovstal adesso», incoronata dal televoto del pubblico.
Ciò che distingue l’Eurovision da altri eventi internazionali è proprio il meccanismo del voto. All’Eurovision non si vince grazie a una giuria di competenti, ma raccogliendo il massimo di preferenze dagli altri Paesi. Il geniale corollario di questa regola è il divieto per gli spettatori di votare per il proprio Paese. Un meccanismo complesso che trasforma il voto in una dichiarazione di amicizia e sostegno tra nazioni. Ma anche, subdolamente, un’occasione per colpire i propri nemici.
È proprio quello che è avvenuto sabato scorso con l’apoteosi politica dell’Ucraina e la sanzione – solo musicale, stavolta – contro la Russia. È solo l’ultimo capitolo di un conflitto cominciato nel 2014, dopo l’invasione della Crimea. In quell’anno – la sede era Copenhagen – le due cantanti russe furono duramente contestate durante la diretta proprio a causa dell’annessione della penisola. Due anni dopo, a Stoccolma, la Russia chiese inutilmente la squalifica della canzone ucraina dedicata alla minoranza tatara della Crimea martoriata da Stalin. E nel 2017 Mosca non partecipò alla finale di Kiev: rifiutò di sostituire la cantante inizialmente selezionata come propria rappresentante, alla quale il governo ucraino vietò l’ingresso nel Paese per essersi esibita nella contesa Crimea.
Morale della favola? La Russia tiene all’Eurovision, eccome. Ma la bestiale ideologia antioccidentale di Vladimir Putin gli si è rivoltata contro. L’Ucraina stravince e l’Occidente si impone con la forza della cultura pop e della musica. Più potenti di mille telefonate di Emmanuel Macron.
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