Angela Merkel e Olaf Scholz
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CHI VINCE e chi perde dopo le elezioni tedesche? La Merkel si lascia dietro un partito a pezzi, un erede inesistente, un Paese nell’assoluta incertezza e un’Europa che cerca una rotta. Inutile nascondersi dietro un dito: l’attuale presidente dell’Unione europea, Ursula von der Leyen, è un’anatra zoppa perché voluta fortemente dalla Merkel e ora ha alle spalle in patria un partito in macerie che ha subito una debàcle storica, persino in Baviera. Insomma, le elezioni in Germania, con la vittoria dei socialdemocratici e il rebus della varie soluzioni di coalizione, hanno cambiato un mondo non solo per i tedeschi ma per tutta l’Europa.
L’EREDITÀ CHE NON C’È
Se è vero che c’è sempre il rischio di guardare la Germania con la nostra ottica italo-centrica, è però legittimo chiedersi cosa ce ne viene da questa sconfitta della Cdu e dalla vittoria della Spd. La prima considerazione è ovvia ma ineludibile: la cancelliera, così acclamata sui nostri giornali, esce di scena in modo drammatico, non è stata mai capace in tutti questi anni al potere di trovare un successore decente e lascia il suo partito a fare i conti con un disastro elettorale epocale.
Non è forse tutta colpa sua, ma il risultato delle elezioni è impietoso anche nei suoi confronti: la cancelliera vale probabilmente meno di quanto sia stato scritto in frettolose e incensatorie biografie. Poi il sistema tedesco reagirà con la sua oliata efficienza, ma per il momento non si vede all’orizzonte una soluzione a breve termine. Per l’Europa tutto questo significa incertezza proprio nel momento in cui si avvia la ripresa economica e sociale nell’auspicabile post-pandemia.
Per ora i mercati azionari hanno reagito bene allo scossone elettorale tedesco ma non è detto che sarà così anche in futuro se i piani del Recovery Fund trovassero degli ostacoli. Nell’Unione europea lo scontro tra Paesi “frugali” e nazioni “cicala”, come l’Italia o la Francia, potrebbe riaffiorare soprattutto quando si ricomincerà a discutere del patto di stabilizzazione. Inoltre c’è da tenere a bada i Paesi dell’Est che sono in rotta di collisione con il nucleo storico dell’Unione.
USA E RUSSIA
Poi ci sono i rapporti con gli Stati Uniti e la Russia. Gli Usa, come ha fatto capire chiaramente la vicenda del Patto Aukus, non hanno nessuna intenzione di concedere agli europei se non spazi attentamente delimitati rispetto alla loro influenza globale. La famosa partnership occidentale di cui parla Biden in realtà è uno specchietto per le allodole: gli americani sono pronti a impallinarci e sanno di poter contare sulle divisioni europee. Nessun Paese europeo ha espresso solidarietà alla Francia dopo la cancellazione della mega-commessa di sottomarini in Australia: un vero e proprio atto di forza attuato dalla “anglosfera”.
L’incertezza tedesca pesa anche nei rapporti con Putin. È vero che la Merkel ha lasciato in eredità il gasdotto North Stream 2 con la Russia, ma le relazioni con Mosca sono sempre in bilico in relazione al nodo irrisolto dell’Ucraina e della Crimea. La Germania della Merkel si era spesa assai per tenere in piedi il processo di dialogo di Minsk, ma è legittimo domandarsi se il prossimo governo tedesco avrà la stessa forza per giostrare tra Usa, Russia e Paesi dell’Est.
I RIFLESSI SULL’ITALIA
Quanto all’Italia è fin troppo evidente che se la prossima coalizione tedesca fosse troppo diffidente nei confronti dell’Italia e dei suoi disastrosi conti pubblici non si potrà contare sulla calibrata “benevolenza” della Merkel con cui Draghi ha un rapporto franco e diretto. Non c’è da farsi troppe illusioni, anche se il cancelliere sarà Scholtz: la sinistra italiana stenta a comprendere che la sinistra tedesca è assai diversa dalla nostra, soprattutto quando si toccano le questioni economiche e il portafoglio.
Adesso in Italia molti pensano che Draghi possa riempire i vuoti di leadership lasciati dalla Merkel: magari può accadere in termini di immagine a livello internazionale, ma sarebbe meglio stare alla sostanza. L’Italia deve concentrarsi sulle sue priorità economiche e strategiche. E sul piano della geopolitica la nostra principale preoccupazione è il Mediterraneo, la sua stabilizzazione e sicurezza. Già portare in primo piano le questioni mediterranee, quelle migratorie e legate allo sviluppo, sarebbe un grande successo.
Il caso Libia, per esempio, sta diventando incandescente: entro la fine dell’anno ci dovrebbero essere elezioni, ma al momento questa non appare una prospettiva fattibile. Giova ricordare che proprio la Germania ospita la Conferenza sulla Libia, mentre il Paese rimane occupato e diviso da truppe straniere, milizie e mercenari.
La Libia è il Paese al quale siamo legati dal gasdotto Greenstream, da cui importiamo petrolio e con il quale abbiamo consistenti interessi economici e di sicurezza legati alle migrazioni. È la Libia la nostra priorità, non l’Afghanistan, dove non tocchiamo palla. Con il dopo Merkel il mondo è diverso, ma non sono mutate le nostre priorità e non sono cambiati gli avversari dei nostri interessi.
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