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Angela Merkel

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4 minuti per la lettura

di STEFANO CAVAZZA *

Dopo 16 anni di governo Merkel, le prossime elezioni tedesche sembrano nuovi scenari futuri. A partire dall’inizio di agosto tutte le rilevazioni hanno registrato una ripresa in termini percentuali della socialdemocrazia tedesca (SPD) e un calo dell’unione (CDU-CSU). Ad oggi (8/09) la media dei sondaggi recenti vede la SPD al 25,2 % (+ 5% rispetto alle elezioni del 2017 e + 10% rispetto alle europee), con la CDU-CSU al 20,9%, distaccata di quasi 5 punti percentuali (-12% punti sul 2017). Anche i verdi hanno un pronostico positivo con il 16,3% (+7,4 sul 2017), anche se più basso rispetto ai mesi scorsi quando sembravano essere destinati a diventare il secondo partito.

La svolta è avvenuta nel mese di agosto quando progressivamente tutti gli istituti hanno registrato la ripresa della SPD e quasi tutti il suo primato con percentuali oscillanti ora (8/09) tra il 2% (GMS) e il 6% (Forsa). Solo l’istituto di Allensbach il 28/08 continuava a vedere in lieve vantaggio l’Unione (+2%) sulla SPD, dopo un vantaggio a fine luglio di 14 punti, ma l’8/09 si è registrato anche qui il sorpasso. Naturalmente queste indicazioni vanno prese con cautela. Anche in Germania l’indebolimento del legame tra elettori e partiti ha aumentato la volatilità degli orientamenti degli intervistati, rendendo i sondaggi più soggetti ad errori e non va dimenticata la presenza di molti elettori ancora indecisi.

Lasciando però da parte la questione dell’attendibilità dei sondaggi, pare difficile negare – come prima considerazione – che la socialdemocrazia tedesca abbia bloccato e, almeno per ora invertito, quella tendenza di discesa degli ultimi anni culminato con il 15,8% delle elezioni europee e che la partita per la cancelleria si sia riaperta.

Tre sembrano le ragioni di questa ripresa. Prima di tutto il candidato cancelliere della SPD, Olaf Scholz gode di un grande credito personale. Secondo Politbarometer (3/09), il 53% degli intervistati lo vorrebbe cancelliere contro solo il 18% per Armin Laschet (CDU-CSU) e il 14% per Annalene Baerbock (Verdi). Scholz, attuale ministro delle finanze, sembra incarnare il leader in grado di garantire continuità del positivo periodo vissuto dai tedeschi negli ultimi anni, mentre Laschet è poco gradito anche tra gli stessi elettori dell’Unione.

In secondo luogo, il consenso sul leader si accompagna ad una positiva valutazione del partito che, secondo un sondaggio infratest dimap, è tornato a primeggiare nelle opinioni sulla competenza, compresa quella sull’economia. In terzo luogo, sembrano essere mutate le aspettative degli elettori. Quattro anni fa era l’immigrazione al primo posto, oggi il tema dominante è la preoccupazione per il cambiamento climatico – acuita dalle recenti inondazioni – seguita dalla pandemia, mentre l’immigrazione è passata in secondo piano – e ciò spiega la stagnazione della AFD (Alternative für Deutschland) all’11,2% nelle media dei sondaggi (-1,4% su 2017).

La priorità ambientale favorisce certamente i Verdi che, però rispetto a maggio hanno visto ridursi il margine di crescita, a causa di una campagna elettorale non brillante della propria candidata. Indebolita dallo scandalo delle mascherine e dal video, diventato virale, di Laschet che ride sullo sfondo durante il discorso del presidente della Repubblica nelle zone alluvionate e dalla non facile relazione con il leader bavarese Markus Söder, l’Unione è parsa in difficoltà e la sua campagna poco incisiva. A fine agosto il partito ha provato però a rilanciare la sua campagna agitando tra l’altro lo spettro di un’improbabile alleanza tra SPD, Verdi e Linke come spauracchio per gli elettori, per ora senza aver sortito effetti positivi.

La seconda considerazione riguarda la struttura del sistema politico e il funzionamento dei governi. Sembra finita l’era dei governi bipartiti sostituita da coalizioni tripartite, uno scenario che rappresenta un’indubbia innovazione nel panorama della politica tedesca e un aumento di complessità sistemica. Sulla base dei pronostici attuali, infatti, la grande coalizione non sarebbe riproponibile sia perché i socialdemocratici non vi parteciperebbero sia perché mancherebbero i numeri per sostenere un governo o vi sarebbe una maggioranza esigua.

Poco probabile appare anche un’alleanza tra SPD, Linke e Verdi non tanto e non solo per differenze di programma – la Linke, stimata al 6.7% (-2,5 sul 2017), governa con la SPD a livello locale e il vertice attuale è più aperto alla cooperazione rispetto al passato – differenze che peraltro Scholz ha già ribadito anche per non prestare il fianco alle critiche dell’Unione, quanto e soprattutto perché anche in questo caso la maggioranza parlamentare potrebbe essere esigua.

Coalizioni possibili e sostenibili potrebbero vedere assieme SPD, unione e liberali, oppure SPD, verdi e Unione, oppure SPD, verdi e liberali oppure Verdi, Unione e liberali. È evidente che questo scenario conferirebbe ai liberali, 12,3% nella media dei sondaggi (+1,6% sul 2017), il ruolo di ago della bilancia. Un secondo fattore rilevante sarà costituito da chi sarà il partito di maggioranza relativa e quale percentuale di voti raccoglierà, perché ciò orienterà la definizione delle coalizioni. Ciò che pare certo è che la fine dell’era Merkel sembra inaugurare una nuova fase politica segnata dal passaggio a governi tripartiti e con esso ad un possibile aumento della complessità nella formazione e nell’azione di governo.
* Docente di Storia Contemporanea – Università di Bologna (da Mente Politica)


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