Joe Biden e Mario Draghi
5 minuti per la letturaSONO giorni di great expectations. E non ci si riferisce al noto romanzo di Charles Dickens. Le aspettative e le attese riguardano tutte la settimana di tour europeo di Biden. G7, Nato, Ue e infine bilaterale con Putin.
Lo sbarco sul Vecchio continente di Biden e i primi risultati del G7 delineano senza dubbio un nuovo inizio. In primo piano vi è la ripartenza ad ondata pandemica ancora in corso, con gli imperativi economici che vanno di pari passo con quelli della sanità. Come ricordato da Draghi, speaker dell’importante primo panel del summit, la ripresa dovrà essere durevole, sostenibile, eco-compatibile e solidale. Dal canto suo Biden dovrebbe confermare l’impegno del G7 a vaccinare tutta quella parte di mondo al momento non in grado di sostenere lo sforzo sanitario, con l’obiettivo dichiarato di scongiurare pericolose nuove ondate veicolate dalle temute varianti del Covid 19.
Ma il tour europeo di Biden deve segnare anche un nuovo inizio per le relazioni euro-atlantiche, ad un livello davvero basso dopo i quattro anni di trumpismo. Se si osserva la storia, viene da dire, nulla di nuovo sotto il sole. Il G7 (G6 alla nascita nel 1975), trovò la sua ragion d’essere proprio come tentativo (riuscito) di ricompattare il mondo euro-atlantico uscito in pezzi dal ciclone Nixon (1971) e dalla crisi petrolifera (1973). In realtà sappiamo bene che Trump ha solo esacerbato e colmato del suo approccio diplomaticamente “villano” una tendenza ben radicata negli otto anni di presidenza Obama, il cosiddetto pivot to Asia. Biden, per otto anni vicepresidente del primo presidente afro-americano, difficilmente potrà tramutarsi nel presidente del pivot to Europe.
Quello che si può affermare è che Pechino finisce per avvicinare in maniera imprevista Europa e Stati Uniti. O meglio la sfida sempre più evidente lanciata da Pechino a Washington per la leadership globale, ha ricondotto a miti consigli “euro-atlantici” proprio gli Stati Uniti. La storia è utile per interpretare il tempo presente ma non può essere riproposta con le stesse logiche, né con gli stessi esiti. L’idea di un nuovo containment e di una nuova Guerra fredda tra Usa e Cina, da trasformare secondo Washington in una competizione tra blocco euro-atlantico e Pechino, è irrealizzabile. E questo sia perché il trentennio post 1991 ha lasciato importanti scorie tra le due sponde dell’Atlantico, sia perché la Cina è un soggetto internazionale molto più integrato economicamente di quanto lo fosse l’Unione Sovietica e sia infine perché gli Stati Uniti non possono più autorappresentarsi come modello allo stesso tempo economico, sociale e valoriale.
Da un lato il quadro odierno è molto più complicato e frammentato rispetto al bipolarismo Usa-Urss. Ma per altri versi tutto è più chiaro ed improntato al realismo politico. Il rapporto euro-atlantico può riedificarsi su basi meno fideistiche e in un’ottica se non di parità, certamente di mutua e reciproca responsabilità. Un nuovo rapporto euro-atlantico può costituire il primo passo per costruire quel multilateralismo del XXI secolo che avrebbe dovuto essere edificato all’indomani del crollo dell’Urss. In questa ottica di scambio leale e pragmatico tra Washington ed alleati europei, un ruolo centrale è quello del rapporto Usa-Ue. Biden dovrà definitivamente chiudere la pagina dei dazi trumpiani, così come archiviare il contenzioso sugli aiuti di Stato nell’annosa querelle Airbus-Boeing.
L’Ue, dal canto suo, dovrà offrire solide garanzie di reciprocità su questi dossier ma soprattutto dovrà dare seguito al colpo di freni già impresso alla penetrazione commerciale di Pechino nel Vecchio Continente, dopo il tentativo di fuga in avanti di Berlino, prontamente rintuzzato dal Parlamento di Strasburgo. Da questo punto di vista Biden si attende prese di posizione nette, tradotto anti-cinesi, sui settori strategici del digitale (5G e sue ricadute militari), dei semiconduttori e in generale nel mettere in crisi il progetto della Belt and Road Initiative (e il Build Back Better World approvato dal G7 va già in questa direzione). Ebbene in questa operazione di ricucitura realista del rapporto euro-atlantico, Roma è un attore fondamentale. E questo per almeno quattro ragioni.
Prima di tutto oggi l’Italia è guidata dal leader europeo più autorevole, per esperienza internazionale, e con l’orizzonte politico meno complicato, rispetto ad Angela Merkel in uscita e ad Emmanuel Macron che ha iniziato una complicata campagna per la riconferma all’Eliseo (per non parlare di Johnson ancora impegnato nella gestione del dopo Brexit). Sempre guardando alla contingenza l’Italia dal primo gennaio del 2021 sta gestendo l’anno di presidenza del G20, che si concluderà con l’atteso vertice di Roma di fine ottobre e che la vedrà protagonista anche nella co-organizzazione della Cop26 sul clima insieme alla presidenza britannica del G7.
Vi sono poi due ragioni strutturali che pongono Roma al centro di questa possibile rinascita di un nuovo rapporto euro-atlantico. Da un lato l’Italia si trova a sfruttare, in questo senso come accaduto alle origini della Guerra fredda, un ruolo strategicamente fondamentale nella competizione sino-statunitense. Le scelte dell’allora governo giallo-verde e in generale le “simpatie grilline” (vedi la recente querelle sulla visita, poi saltata, dell’ex premier Conte all’ambasciata cinese) per l’autoritarismo di Xi Jinping si sono concretizzate nel fare di Roma l’unico partner europeo di peso ad aver mostrato un certo coinvolgimento nel progetto di Belt and Road Initiative.
La “campagna d’Italia” è per Biden fondamentale. Draghi ne è consapevole e sta sfruttando la carta in maniera magistrale. Vi è infine, ma non per importanza, il dossier mediterraneo. Sul tavolo del vertice Nato del 14 giugno, i dossier Turchia e Mediterraneo orientale (vedi Libia) saranno centrali. Gli Usa dovrebbero confermare la loro tendenza a cedere il controllo dell’area alla componente europea dell’Alleanza atlantica e questo implica la necessità di una maggiore cooperazione franco-italiana, a partire proprio dal quadrante libico.
Solo i prossimi mesi potranno dirci se il tour europeo di Biden di questo giugno 2021 ha davvero inaugurato un nuovo rapporto euro-atlantico, da tramutarsi in potenziale asse portante per una governance globale assente nell’ultimo trentennio e non più differibile dopo la drammatica crisi pandemica. Per ora possiamo dire che Roma sta svolgendo un ruolo di primo piano in questa delicata quanto decisiva partita.
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