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Franco Battiato nello storico concerto di Bagdag

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Aveva suonato nel 1992 in uno storico concerto a Baghdad, accompagnato dai Virtuosi italiani e dall’orchestra sinfonica nazionale d’Iraq. L’evento era stato organizzato per sostenere l’Unicef e le bambine e i bambini iracheni, che pagavano le conseguenze sia della guerra del Golfo sia delle sanzioni economiche. “Lo scopo della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue ma è anche vero che credo sia giusto dare a tutti una possibilità di redenzione, agli assassini di diventare santi”

Perché Franco Battiato è importante? Oltre al grande musicista c’è l’uomo impegnato a capire il mondo. Ne parliamo al presente perché il suo lascito non svanisce con la morte e continua a insegnarci qualcosa.

Battiato è importante per capire la politica internazionale e come vanno le cose al mondo. C’è un suo brano che ci racconta molto di lui ma anche di come siamo diventati noi oggi, soprattutto ai vertici politici e istituzionali che in occasione della guerra in Palestina hanno dato la pessima dimostrazione di non vivere in mezzo al Mediterraneo, come geograficamente è la collocazione dell’Italia, ma sulla Luna.

C’è un brano che ci dice tanto di Battiato: Fogh in nakhal, reinterpretazione di un canto della tradizione popolare irachena.
Battiato l’aveva suonato nel 1992 in occasione dello storico concerto a Baghdad, accompagnato dai Virtuosi italiani e dall’orchestra sinfonica nazionale d’Iraq. L’evento era stato organizzato per sostenere l’Unicef e le bambine e i bambini iracheni, che pagavano le conseguenze sia della guerra del Golfo sia delle sanzioni economiche.

A chi gli contestava la scelta di aver suonato nella capitale del duro regime di Saddam Hussein, Battiato aveva dato una risposta delle sue: “Lo scopo della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue ma è anche vero che credo sia giusto dare a tutti una possibilità di redenzione, agli assassini di diventare santi”. Non so se questo sia davvero possibile ma le sanzioni imposte all’Iraq sono state uno dei più gravi crimini commessi contro l’umanità e anche una delle scelte politiche che abbiamo pagato con una tragedia immane.

Chi scrive per 12 anni ha viaggiato nell’Iraq sotto sanzioni. Il regime poteva vendere il suo petrolio attraverso la risoluzione “oil for food”: gli introiti venivano depositati nella filiale di New York di una banca che riversava i soldi a Baghdad che quindi poteva acquistare i beni essenziali al mantenimento della popolazione.

Tutto era razionato ma in realtà le razioni diventavano in mano al regime un potente strumento di controllo della popolazione che per sopravvivere dipendeva dalla benevolenza del raìs e della sua cerchia. In poche parole a Saddam Hussein era stato dato lo strumento per affamare la popolazione che non si sottometteva o era in dissidenza con i governanti. Insomma prima gli occidentali avevano incitato gli iracheni del Sud e i curdi al Nord a ribellarsi a Saddam e poi era stati lasciati al loro destino in mano al regime che li strangolava a suo piacimento.

Come se questo non bastasse a Baghdad, dopo la guerra del ’91, era stato insediato un comitato sanzioni capeggiato da americani e inglesi.

Da qui passava l’approvazione di tutte le commesse essenziali alla sopravvivenza della popolazione. Tra i beni sanzionati c’erano anche le matite destinate alle scuole elementari, perché la grafite poteva essere usata per la fabbricazioni di armi chimiche o nucleari. Il metodo era demenziale: si voleva mettere sotto pressione un regime e in realtà si affamava e si faceva morire un’intera popolazione. Negli ospedali mancavano le medicine e persino le incubatrici.

L’Iraq, con le percentuali di morti infantili, era stato retrocesso al Medioevo. Un’inchiesta della Bbc inoltre aveva dimostrato che i proiettili americani con l’uranio impoverito avevano colpito duramente la popolazione: specie nel Sud, nella provincia di Bassora, nascevano bambini deformi o con malattie incurabili come la leucemia. Chi ha visto ha ancora quell’orrore negli occhi e un senso di rabbia e impotenza che non potrà mai dimenticare. Volevamo abbattere Saddam Hussein e invece facevamo una strage silenziosa di innocenti.

Ma tutti abbiamo pagato un prezzo per questa criminale miopia. I bambini non andavano più a scuola o lo facevano in mezzo a difficoltà enormi, le comunicazioni con l’esterno erano rese impossibili, gli aerei civili non volavano più da anni, il Paese era isolato: non si poteva entrare o uscire se non rischiando la pelle.

Così un paio di generazioni irachene sono cresciute nel buio più completo. Il risultato è stato che quando nel 2003 gli Usa hanno deciso di attaccare Saddam, con la menzogna che il regime occultava armi di distruzione di massa, fu come dare un colpo di grazia a un Paese moribondo. Che infatti cadde facile preda della propaganda jihadista, prima di Al Qaida e poi dell’Isis che ha portato i suoi attentati nel cuore dell’Europa e destabilizzato l’intera regione.

Battiato e alcuni altri con lui queste cose le avevano percepite in anticipo. Sapevano che non si uccide un regime attraverso il suo popolo, se non con conseguenze devastanti che poi abbiamo tragicamente misurato nel tempo. Come vedete non sono soltanto canzonette.


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