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Giorgia Meloni, Viktor Orban, Antonio Guterres, Ursula von der Leyen e Nikos Christodoulides

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Migranti, Giorgia Meloni prende le distanze da Orban, una decisione che tornerà utile se vorrà sedere ai tavoli che contano dopo le elezioni

Giorgia Meloni passo dopo passo sta compiendo la sua personalissima traversata nel deserto. Aveva già cominciato durante la campagna elettorale delle scorse politiche, una campagna elettorale che ad occhi attenti era parsa più centrista che destrorsa e sovranista. Ora si compie un altro passaggio importante, la presa di distanze dal magiaro Orban.

Una presa di distanze che sarà molto utile in vista delle prossime elezioni europee quando, se vorrà sedere ai tavoli che contano del post voto insieme ai popolari di Weber, dovrà dimostrare di aver imparato come si sta in Europa, ovvero senza pregiudizi in un senso o nell’altro ma solamente è semplicemente nell’interesse del proprio Paese. Ecco dunque la presa di distanze da Orban, su uno di quei temi che sarà certamente tra i più caldi della prossima campagna elettorale per le elezioni europee: l’immigrazione.

L’Unione Europea, dopo sette anni di trattative a vuoto, ha siglato una storica intesa sui migranti. Firmato un nuovo accordo tra i 27 Paesi dell’Ue dopo una lunga giornata di trattative serrate in Lussemburgo. L’intesa è arrivata con voto a maggioranza qualificata: contrarie Polonia e Ungheria, astenute Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria, l’Italia ha votato a favore. Sia chiaro, si tratta della posizione negoziale del Consiglio che poi dovrà trattare con il Parlamento Ue, ma sono sette anni che gli Stati membri discutono senza trovare un’intesa.

I due regolamenti puntano a rafforzare la responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso (resta in vigore Dublino e la responsabilità dei migranti arrivati è dello Stato di primo arrivo per 24 mesi) ma anche a rendere obbligatoria la solidarietà da parte degli altri Paesi con tanto di numeri stabiliti. Ma attenzione, basterà pagare 20mila a persona per non accogliere la quota di ricollocamenti spettante. Soldi che finiranno ad un fondo condiviso per aiutare i Paesi di provenienza. I ricollocamenti non saranno obbligatori, è previsto però un contributo finanziario. L’ultimo ostacolo da superare era la divergenza tra Germania e Italia sulla definizione di Paese terzo “sicuro” per i rimpatri dei migranti non ammessi all’asilo e i criteri di “connessione” con quel Paese.

Il testo sul Patto per le migrazioni e l’asilo introduce infatti la novità della procedura accelerata alla frontiera per esaminare le domande dei migranti che hanno minori possibilità statistiche di ottenere lo status di rifugiato. La premier Giorgia Meloni ha spiegato che «quando noi non riusciamo a reggere i flussi migratori, in qualche modo il problema diventa di tutti» e si è detta «soddisfatta» della missione di domenica in Tunisia con la presidente della Commissione Ue von der Leyen e con il premier olandese Rutte.

Il grande sconfitto di questa tornata di negoziati europei è il primo ministro ungherese Viktor Orban che tuona: «Bruxelles abusa del suo potere. Vogliono ricollocare i migranti in Ungheria con la forza. Questo è inaccettabile». Il primo ministro ha accusato Bruxelles di voler «usare la violenza per trasformare l’Ungheria in un Paese di migranti». Il nuovo Patto sulla migrazione concordato in Lussemburgo in realtà non prevede il trasferimento obbligatorio dei migranti ma «il principio di solidarietà, con contributi economici o altri aiuti».

Certo, non è tutto oro quello che luccica in sede europea però «se questo governo comincia a prendere le distanze dalla politica portata avanti da Orban e dalle posizioni più estremiste in Europa, è un dato positivo» spiega, a margine di un’iniziativa organizzata a Napoli, il capogruppo di Azione-IV alla Camera, Matteo Richetti.

«È positivo anche che importanti Paesi come la Germania – ragiona Richetti – abbiano compreso quanto l’Italia non può essere lasciata sola di fronte a questo fenomeno. Credo sia anche importante che ciò che aveva impostato Mario Draghi, cioè non solo un sistema di quote, ma un sistema di riallocazione che non è mai scattato fino in fondo in termini di determinazione puntuale Paese per Paese per evitare che ci fossero picchi difficili da gestire sul piano sociale, comincia prendere gamba. Penso che complessivamente questo possa essere un passaggio positivo».

Staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi mesi quando l’Europa dovrà ratificare l’accordo preso a livello di ministri degli interni. Di sicuro Giorgia Meloni sta dimostrando capacità di adattamento che pochi gli riconoscevano. Resta da capire se per tutto questo ci sarà da pagare un prezzo elettorale. Gli alleati, Matteo Salvini in particolare, sono pronti ad approfittarne.


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