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Joe Biden e Vladimir Putin

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Non chiamiamolo disgelo ma, nel momento più difficile nelle loro relazioni dai tempi della Guerra fredda, Usa e Russia sono tornati a parlarsi. E lo hanno fatto quasi ai massimi livelli delle rispettive gerarchie militari, con una telefonata tra il segretario Usa alla Difesa, Lloyd Austin, e l’omologo russo, Serghei Shoygu.

Il capo del Pentagono ha chiesto il cessate il fuoco in Ucraina e sottolineato l’importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione Mosca-Washington. Perché solo il dialogo tra le due sponde del Pacifico può avvicinare una soluzione diplomatica della crisi e, soprattutto, scongiurare pericolose escalation con la Nato che potrebbero rapidamente trasformarsi in uno scontro fra potenze nucleari.

L’ATTACCO DI ERDOGAN

Il confronto Usa-Russia arriva in una fase ulteriormente complicata dall’imminente adesione della Finlandia all’Alleanza, percepita da Mosca come una minaccia dell’Occidente. Sul punto, in seno al Patto atlantico, si è levata una voce di dissenso, quella di Recep Tayyip Erdogan, che ha definito «un errore» un’estensione dell’alleanza a Helsinki e Stoccolma.

«Non voglio che si ripeta lo stesso errore commesso con l’adesione della Grecia» ha detto, aggiungendo di non avere «un’opinione positiva» nei confronti dei due Paesi nordeuropei, accusati di ospitare «i terroristi del Pkk».

A capo del secondo esercito della Nato, Erdogan nella dinamica ucraina sta sfruttando i buoni rapporti intessuti negli ultimi anni con Putin per avvicinare Mosca e Kiev, ospitando due round di negoziati in Turchia e sollecitando a più riprese l’urgenza di un incontro fra Putin e Zelensky, ad Ankara o Istanbul. Ma un faccia a faccia tra i due leader sembra ancora lontano.

«Non c’è alcun progresso nella stesura di un possibile documento che Putin e Zelensky possano firmare – ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov – La Russia non è contraria a un incontro tra i due presidenti, ma è impossibile tenerlo senza adeguata preparazione». Putin, intanto, continua a confrontarsi con i leader occidentali. Ieri è stato nuovamente il turno di Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco, ha riferito Berlino, ha esortato il presidente russo a ordinare la tregua in Ucraina, a fare tutto il possibile per un miglioramento della situazione umanitaria e a rilanciare i negoziati. Su quest’ultimo aspetto, secondo il Cremlino, Putin ha rinnovato le accuse a Kiev che starebbe «bloccando i colloqui».

Putin avrebbe poi ribadito gli obiettivi della Russia, non solo militari, ma anche quelli riguardanti la salvaguardia della popolazione civile. Lo “zar” ha anche fatto riferimento a «gravi violazioni delle norme del diritto internazionale da parte di combattenti che professano l’ideologia nazista». Chiaro riferimento al battaglione Azov, che difende la zona di Azovastal a Mariupol.

IL G7 E L’EMBARGO DEL PETROLIO

Sempre ieri è andato in scena il summit del G7 a Weissenhaus, in Germania, dove il responsabile della Pesc europea, Josep Borrell, ha assicurato che sull’embargo del petrolio russo verrà presto trovata la quadra fra gli Stati membri.

«Sono sicuro che avremo un accordo – ha detto – ne abbiamo bisogno e lo avremo perché dobbiamo sbarazzarci della dipendenza dal petrolio dalla Russia. Dobbiamo comprendere le circostanze specifiche di ciascuno dei 27 Stati membri. Ma se non ci sarà accordo a livello di ambasciatori lunedì i ministri, quando si riuniranno al Consiglio Ue Affari esteri, dovranno fornire lo slancio politico. Il G7 mostrerà un fronte unito per sostenere l’Ucraina e per isolare la Russia».

BATTAGLIA AD AZOVSTAL

Sul fronte dei combattimenti si starebbe registrando un importante cambio strategico. Le truppe russe, ha riportato il New York Times, avrebbero infatti avviato la propria ritirata da Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina. Per il giornale Usa si tratta di una delle più grandi battute d’arresto per Mosca nel conflitto, paragonabile all’abbandono dell’offensiva contro Kiev. Non può dirsi lo stesso per Mariupol, dove l’offensiva va avanti. Ieri – dopo una notte di assalti – i russi hanno impiegato la fanteria e i blindati per condurre un nuovo attacco contro Azovstal.

Nella capitale ucraina, nel frattempo, è iniziato il primo processo per crimini di guerra contro un soldato nemico. Si tratta del Vadim Shyshimarin, 21 anni, accusato di aver ucciso un civile di 62 anni nel villaggio nord-orientale di Chupakhivka sparandogli alla testa. Il giovane militare – che ha reso la sua deposizione all’interno di una teca di vetro – ha confermato l’omicidio. «Mi è stato ordinato di sparare – ha raccontato Shyshimarin – Gli ho sparato un colpo. Lui è caduto. E siamo andati avanti». Per il servizio di sicurezza ucraino la dichiarazione del soldato rappresenta «una delle prime confessioni degli invasori».


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