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Passavamo dagli euroscettici agli eurocontrari. Nessuno può dimenticare i tempi in cui qualunque problema era dovuta all’Unione Europea, né la criminalizzazione dell’euro che per molti, ancora adesso, è stato un passaggio rovinoso.
Forse gli unici che hanno apprezzato da sempre la nuova frontiera europea sono stati i ragazzi Erasmus che, grazie a tale progetto, hanno potuto viaggiare per tutto il continente e spesso anche trovare una prospettiva di futuro in uno degli accoglienti Paesi dell’Unione.
Ma la generazione del 900 è stata sempre molto scettica rispetto alle scelte di Ventotene. Qualcosa è cominciato a cambiare con il Covid-19, quando la prospettiva di fare debito comune, sempre contrastata dai cosiddetti Paesi frugali, in generale da tutti i Paesi del Nord Europa, è diventata realtà.
E siamo rimasti a guardare stupiti della dotazione importante, che in particolare il nostro Paese ha avuto, rispetto alle risorse del Next Generation UE.
Risorse importanti, molto consistenti per l’Italia, per dare una mano al Paese che ha le maggiori disuguaglianze tra tutti i Paesi europei. E che è strategico per il collegamento con l’Africa, sempre più importante per il futuro dell’Unione, a maggior ragione oggi che l’Est si è rivelato estremamente instabile.
Tre volte quelle date alla Germania, che pure ha una popolazione di un terzo maggiore. Perlomeno quelle date a fondo perduto, visto che il prestito la Germania non l’ha voluto utilizzare. Tali risorse sono state date infatti in base a tre parametri: la popolazione, il reddito pro capite, il tasso di disoccupazione.
Negli ultimi due anni l’Italia, grazie, si fa per dire, al Mezzogiorno, ha un primato non invidiabile, che le ha consentito di avere risorse importanti.
Poi come il Paese distribuirà tali risorse con il PNRR lo vedremo e lo racconteremo dopo il 2026, anno in cui dovrebbe completarsi la messa a terra di tali risorse.
Ma il cambiamento a 180° si è potuto vedere nella posizione di tutti i leader europei, perlomeno quelli dei maggiori Paesi.
Alcune resistenze continuano ad esserci da parte di nuovi arrivati, che nell’Unione purtroppo ancora contano più di quello che dovrebbero, sul principio delle decisioni del Consiglio d’Europa, che va eliminato, dell’uno vale uno e del diritto di veto di ciascun Paese e non del peso proporzionale al numero di abitanti.
Primo fra tutti i Paesi che frenano quell’Ungheria di Orban, con i suoi 10 milioni di abitanti pari alla sola Campania e Puglia, tanto cara ad alcuni nostri leader, che ha avuto bloccato il Next Generation UE perché non rispetta alcuni diritti civili.
Tale cambiamento è plasticamente evidente nel discorso di Mario Draghi di Strasburgo e dalle sue affermazione fatte ieri a Biden. “Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico e ideale, se questo è un percorso che porterà alla riforma dei trattati, l’Unione lo abbracci, e la necessità di provvedere ad un sistema difesa comune e all’indipendenza energetica”. Mentre con un discorso ispirato e di largo respiro Emmanuel Macron,nella sua qualità di Presidente di turno della Ue, ha illustrato le linee portanti per il progetto della nuova Europa. Difesa comune, energia ed approvvigionamenti con politiche condivise, ricerca della pace. Questo il messaggio che ieri ha portato poi Draghi a Biden “La guerra in Ucraina porterà dei cambiamenti massicci in Europa. Vladimir Putin pensava di dividerci, ma ha fallito.”
Ma il progetto dell’Unione è quello di portare avanti una soluzione negoziata che faccia interrompere bombardamenti ed invasione. Finalmente quella che era stata solo una visione di statisti che guardavano ad un futuro necessario, quella che si era imposta prima da un punto di vista economico con la moneta comune, si propone la fase più difficile, ma anche la più indispensabile. Quella dell’unione politica tra Paesi con differenze notevoli diventa adesso prospettiva possibile.
Che un finlandese possa avere poche visioni comuni rispetto ad un isolano di Lampedusa lo pensiamo in tanti, ma che in entrambi ci sia un comune sentire, rispetto ai valori fondamentali che l’Europa ha sempre affermato e difeso, non vi è alcun dubbio. Su questo si può costruire quel percorso ormai non più eludibile di una forza europea che si contrapponga contemporaneamente non solo all’Orso russo, diventato sempre più pericoloso e aggressivo, ma anche al grande padrone americano, che spesso non è andato molto per il sottile per difendere i propri interessi e che alcune volte ha abbandonato, come nel caso dell’Afghanistan, teatri importanti, facendoli ripiombare nell’oscurantismo del Medioevo, come si è visto con l’inibizione alle donne di frequentare le scuole o quella di obbligarle ad uscire con il burqa dei talebani, tornati al potere.
Dispiace che in questo contesto un pezzo importante del puzzle che si doveva costruire, rappresentato dal Regno Unito, si è tirato fuori, per un populismo non adeguatamente contrastato, che ha portato a risultati dirompenti e forse irrecuperabili.
Ma ora è il momento di riprendere la marcia, che per anni ha proceduto lentamente, perlomeno nell’organizzazione politica, dirigendosi più velocemente invece verso l’allargamento verso Est, in particolare voluto molto insistentemente dal partner più potente, che aveva interesse per le praterie di quei Paesi che stavano oltre la cortina di ferro.
Bisogna passare dall’Unione Europea alla Federazione degli Stati europei, che con organismi politici, magari eletti direttamente dal popolo, possano avere sufficiente autorevolezza per spingersi verso l’Africa nera e bianca, quella che sarà la protagonista dei prossimi anni 2000.
In tale contesto il Mezzogiorno non può che guadagnarci, e finalmente forse le risorse che con grande lungimiranza l’Unione aveva destinato alle parti deboli, marginali e periferiche potranno effettivamente essere spese laddove erano destinate, evitando quella infame sostituzione dei fondi ordinari che ha fatto sì che la spesa pro capite del Mezzogiorno, comprese le risorse europee, sia stata inferiore a quella del Nord.
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