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Joe Biden e Vladimir Putin

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Le guerre cambiano strada facendo, a dispetto dei piani più dettagliati preparati dagli Stati maggiori e delle ambizioni o delle speranze dei governi che le hanno volute o che le hanno subite: questa in corso tra Russia e Ucraina, con la partecipazione più o meno diretta di molti altri Paesi, in appoggio dell’una o dell’altra parte, non fa eccezione. Ma questo non significa che non dobbiamo riflettere su come potrebbe o dovrebbe concludersi.

Nel passato, la vecchia Unione Sovietica aveva più volte invaso alcuni dei suoi Paesi “satelliti” che mettevano in discussione il suo regime utilizzando centinaia di migliaia di uomini e mezzi, rendendo così del tutto vano ogni tentativo di resistenza. Questa volta, invece, la Russia ha tentato di invadere il secondo più vasto Paese europeo (il primo è la Russia stessa) con forze poco più che simboliche, circa 140.000 uomini dispersi su un fronte larghissimo che va dalla Bielorussia al Mar Nero.

I MOTIVI DELLA GUERRA RESTANO MISTERIOSI

Perché Mosca abbia iniziato questa guerra in un modo così assurdo non è affatto chiaro. Illusioni ideologiche, gravissimi errori dell’intelligence, incompetenza dei massimi responsabili, o forse una letale combinazione di questi e altri fattori. Resta il fatto che gli ucraini, lungi dall’accogliere le truppe russe come “liberatori” o di sottomettersi passivamente al diktat del Cremlino, hanno reagito con forza e decisione. Non che fossero molto armati, ma lo erano in modo sufficiente per bloccare il tipo di operazione condotta inizialmente da Mosca, costringendo il Cremlino a rivedere del tutto i propri piani.

L’invasione è proseguita, ma questa volta impegnando praticamente tutto quello che c’era di disponibile nell’esercito russo, cioè circa 76 formazioni integrate di combattimento su un totale teorico di 170 (che gli esperti riducono a 120 se si considerano quelli realmente operativi) che coprono l’intero territorio della Federazione, Siberia inclusa. Queste formazioni includono anche un gran numero di soldati di leva, oltre a grandi quantità di armamenti pesanti. Nel frattempo, gli ucraini hanno iniziato a ricevere una crescente quantità di armamenti dai Paesi occidentali, che hanno permesso loro di continuare a resistere, sia pure al prezzo di molte perdite umane, e di limitare le conquiste territoriali russe alla regione separatista del Donbass e all’area di Mariupol, infliggendo alte perdite, anche simbolicamente significative (come l’affondamento del Moskva a largo di Odessa).

IL QUESITO CRUCIALE

Ma la guerra è anche più complessa e larga di quella che si gioca sul terreno. In primo luogo lo stretto collegamento tra i Paesi membri della Nato e molti altri Paesi, dal Pacifico al Medio Oriente e all’Africa, per fornire all’Ucraina un flusso continuo di armamenti sempre più sofisticati e pesanti. In secondo luogo la guerra economica che viene condotta contro Mosca con una serie vastissima e del tutto inedita di sanzioni (che alcuni hanno comparato al famoso “blocco continentale” di Napoleone contro la Gran Bretagna) volte a togliere alla Russia la capacità di continuare a combattere per lungo tempo. In altri termini, anche se le operazioni militari sono limitate al territorio ucraino, il conflitto sta assumendo una dimensione globale.

Lo dimostra anche la reazione negativa della Cina di fronte al coordinamento di alcune potenze asiatiche con la Nato e gli americani alla riunione di Ramstein per il coordinamento degli aiuti militari a Kiev. Tutto questo pone quindi un problema: quanto potrà durare questa guerra “limitata”, e c’è speranza che possa concludersi senza che finisca per allargarsi al resto del mondo? Le prospettive non sono brillanti. Il peso umano della guerra pesa integralmente oggi sulle spalle dell’Ucraina, che ha quindi il diritto (e l’onere) di stabilire le condizioni alle quali sarebbe disposta a deporre le armi. Queste, allo stato attuale, includono non solo la cessazione dell’attacco russo, ma anche il ritiro delle forze di Mosca al di là dei confini.

Da parte russa, invece, gli obiettivi non sono altrettanto chiari. Essa sembra aver rinunciato alla richiesta di un mutamento di governo a Kiev, ma non è chiaro se sarebbe disposta a contentarsi dell’occupazione delle due aree già governate dai separatisti filo russi, o se vorrebbe anche mantenere il controllo di Mariupol e forse estendere il suo dominio territoriale fino a Odessa ed oltre, verso la frontiera con la Transnistria (Moldova).

In questa situazione la parola resta alle armi e il conflitto prosegue alla ricerca di una vittoria che assume contorni sempre più incerti, ma anche sempre più ambiziosi. Molti esponenti politici occidentali (tra cui privatamente lo stesso Joe Biden) sembrano convinti che l’unica fine accettabile del conflitto debba passare per la rimozione di Vladimir Putin. Ma questo è uno scenario molto incerto e pericoloso, che probabilmente comporterebbe anche una forte reazione negativa cinese e che potrebbe innescare un processo di escalation ben al di là dei limiti geografici attuali.

I PERICOLI DI UNA VITTORIA COMPLETA

Una vittoria completa di una parte o dell’altra, in tempi relativamente brevi, non è affatto probabile e in qualche misura è anche poco auspicabile, a meno che non segua un vero e proprio tracollo interno di uno dei contendenti. Ma in assenza di scenari estremi di questo genere, che niente per ora sembra preannunciare, ogni altra ipotesi di vittoria completa passa in realtà per un allargamento del conflitto: un’ipotesi molto poco auspicabile, in particolare per l’Europa, che è geograficamente più vicina.

E veniamo dunque alla domanda se sia possibile una conclusione negoziale. Esistono formule diplomatiche che possano in qualche modo salvare la faccia dei russi e non obbligare gli ucraini a rinunciare alla loro sovranità nazionale, ma sono evidentemente formule di compromesso che richiedono la cooperazione tra le parti: qualcosa che per il momento non esiste. Nello stesso tempo è pericoloso che gli attori esterni, così strettamente collegati a questo conflitto, non accompagnino l’indurimento militare ed economico delle loro posizioni con un discorso esplicito di interesse a una immediata apertura di nuovi negoziati tra le parti, quasi avessero abbandonato ogni speranza di vedere la conclusione della guerra. Veramente vogliamo dipendere solo dallo scontro militare?


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