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Papa Francesco

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NON c’è dubbio che la guerra santa di invasione che il duo “Putin- Kirill” ha scatenato il 24 febbraio 2022 contro l’Ucraina e la decadenza dell’intero Occidente lascerà profonde tracce non solo dal punto di vista semplicemente umano per i massacri, le distruzioni, gli stupri, le deportazioni, l’esodo di milioni di persone che essa già finora è stata in grado di provocare, ma anche sotto il profilo religioso e specificamente della/delle eredità cristiane e anche all’interno del mondo cattolico.

La domanda di cosa significhi sentirsi cristiani non può non balzare oggi alla coscienza di tutti coloro che, pur con accenti diversi, fanno del messaggio del Vangelo il riferimento di una fede che, almeno fino a ieri, veniva ritenuta in questo terzo millennio del tutto lontana dal poter ispirare una guerra odiosa e da vera e propria crociata, anche contro coloro che non solo condividono la fede in Cristo ma anzi, come il popolo ucraino, sono persino fratelli nel credo dell’ortodossia. Anche se si sprecano oggi le giustificazioni storiche (o presunte tali)  a proposito di una Chiesa, quella russa, da sempre vocata a un rapporto “armonico” col potere politico, la cerimonia pasquale russo-ortodossa in cui Putin, col cero devotamente in mano nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, presenzia al solenne rito pasquale celebrato dal  Patriarca Kirill (rendendogli poi anche grazie a seguire del suo fermo appoggio allo Stato e, ovviamente, è da intendersi anche alla guerra/non guerra “operazione speciale” in atto a suon di bombardamenti indiscriminati, fosse comuni di centinaia di civili e barbarie di ogni tipo), è qualcosa che ripugna alle coscienze di questo vituperato occidente che oserebbe poter pensare che le guerre scatenate nel nome di Cristo non possano più avere alcuna giustificazione. 

In quello stesso momento in cui congiuntamente Kirill e Putin celebravano la resurrezione di Cristo, lo stesso Putin respingeva anche nei giorni della Pasqua ortodossa (così come nella settimana precedente, neanche a dirlo, in quelli della Pasqua cattolica) ogni tentativo di arrivare almeno a una tregua umanitaria e anzi semmai i bombardamenti contro obiettivi civili si intensificavano ancora di più così come i suoi fidi alleati e boia ceceni mostravano a tutto il mondo i loro sguaiati festeggiamenti e balli sulle rovine fumanti della città martire di Mariupol, delle fosse comuni con migliaia di vittime civili, e la volontà di annullare nel sangue ogni forma residua di resistenza. Per contro di fronte all’orrore della benedizione di una guerra santa, culminato nei fastosi riti pasquali celebrati da Kirill, senza batter colpo sui massacri in atto nel segno di un Dio vendicatore (contro le colpe del popolo ucraino reo di voler essere libero e sovrano e di un occidente che persino osa pensare nei termini di decadenti diritti umani), anche da tante parti del mondo ortodosso, e persino all’interno della ortodossia russa, si levavano grida di aiuto e di speranza rivolti al Papa di Roma.

Tralasciando ogni riferimento al richiamo da parte dei leader politici ucraini alla possibilità di un ruolo prettamente politico per Francesco in qualità di possibile mediatore di pace, oppure anche come semplice personale e inconfutabile  testimonianza da parte sua (in forza di una autorevolezza morale riconosciutagli da tanti nel mondo e non solo cristiano), semmai avesse accettato l’invito a recarsi in Ucraina, degli orrori che si stavano compiendo in quel paese, il grido di dolore proveniva, per esempio, dal prete ortodosso di Bucha che, proprio in occasione della Pasqua, dichiarava: «Se l’arrivo di Papa Francesco potrà contribuire alla pace, noi lo aspettiamo. È anche importante che venga a vedere coi suoi occhi cosa è successo qui». E ancora, in riferimento alla Via Crucis di Roma: «Far portare la croce a due donne, russa e ucraina, è una buona idea di unità, ma una delle due parti deve ammettere le proprie colpe e pentirsi».

Ora se è chiaro che solo la disperazione di chi sta ora subendo in prima persona una devastante guerra di aggressione, ammantata di giustificazioni metafisico/religiose/cristiane,  può condurre all’identificazione di un popolo, quello russo, con il suo tiranno, ai Cattolici tutti non ha potuto che far piacere vedere rivolgersi al proprio Papa, quale testimone riconosciuto dei valori fondativi del Vangelo, le grida di dolore di chi la violenza inaudita della guerra in atto la sta sperimentando ogni giorno e ne è vittima e per chiedergli aiuto. E in effetti è noto a tutti quale complicato itinerario abbia percorso il Papa in questi più di due mesi di guerra, nel tentativo di mediare il messaggio pacifista/fondamentalista del “no alla guerra, senza se e senza ma”, con la necessità di non celare il fatto che, nel caso in oggetto, ci sono un paese e un popolo aggrediti che  rivendicano la necessità di resistere per sé stessi e per le proprie scelte democratiche e una potenza imperiale che nemmeno riconosce la loro esistenza e vuole ricondurli a suon di bombe nell’alveo della propria tirannia, benedetta da Kirill.

Alcune tappe di questo percorso sono apparse più felici di altre a seconda della sensibilità dei singoli o anche delle eredità culturali del cattolicesimo nelle varie parti del mondo contemporaneo e non è certo il luogo qui di discettare in proposito. Quel che, a mio avviso, occorrerebbe che Francesco chiarisse bene fin da subito e  in profondità di fronte ai cattolici di oggi ma anche di fronte a tutti i cristiani che vedono nel messaggio evangelico l’esatto contrario di qualsiasi bellicistico proposito per innescare sanguinose guerre di religione/di potenza (consci del fatto che la storia ne è drammaticamente piena e che lo stesso occidente cristiano moderno ha fatto molta fatica per lasciarsele alle spalle) è quale via egli intenda perseguire sotto la bandiera dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso a lui da sempre cari. Più specificamente, per quanto riguarda l’ortodossia e ancora più da vicino quella russa di Kirill: esiste o no uno spartiacque “dopo la benedizione della guerra di aggressione all’Ucraina”? Un “dopo Bucha”, dopo le numerose “Bucha” che via via si stanno ogni giorno aggiungendo? Ancora più prosaicamente si apre una serie di interrogativi: «Quale prospettiva intende perseguire il Papa nei suoi rapporti con Kirill? Intende far finta di nulla e comportarsi con lui da potere a potere, sperando di ricavare qualcosa, magari grazie alla mediazione di quest’ultimo col suo grande referente politico Putin, per la martoriata Ucraina? In nome del realismo politico Kirill può essere ancora un interlocutore come prima, sul quale conviene calare il silenzio sul misfatto della sua benedizione a una guerra di religione cristiana e di potenza?».

Certo con qualche sorpresa i cattolici e i cristiani di tutto il mondo che aborrono le guerre di religione/di potere addirittura condotte oggi, 2022, nel segno del messaggio evangelico, non possono non vedere con qualche preoccupazione alcuni eventi e dichiarazioni recenti da parte di Francesco di cui hanno dato conto i giornali. I suoi auguri per la Pasqua a Kirill, per esempio. Un giornale di stretta area cattolica titola: La lettera del Papa al patriarca Kirill: “Operiamo per la pace in Ucraina dilaniata dalla guerra” e altri giornali mettono comunque in rilievo, anch’essi in gran parte fin dai titoli la funzione di operatori di pace che Francesco pone in risalto per se stesso e per Kirill. «Caro Fratello – così suona il messaggio centrale della lettera a quest’ultimo -, possa lo Spirito Santo trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace, specialmente per l’Ucraina dilaniata dalla guerra, affinché il grande messaggio pasquale della morte alla nuova vita in Cristo diventi una realtà per il popolo ucraino, desideroso di una nuova alba che porrà fine alla oscurità della guerra». Capolavoro politico questa affermazione che cerca perlomeno di trascinare Kirill, (messo da Francesco sul suo stesso piano), a vedere di lenire le piaghe del popolo ucraino: assordante silenzio sul fatto che quelle piaghe le ha volute e le vuole proprio lui, Kirill nella sua stretta alleanza guerrafondaia con Putin.

Il fine, – lenire le piaghe del popolo ucraino, appunto – si potrebbe commentare, giustifica i mezzi; il prezzo: il riconoscimento a Kirill della pari dignità da parte del Papa di Roma nel segno del comune riferimento cristiano anche per quanto riguarda questa guerra…. E che Vatican news informi poi che nel sito ufficiale della chiesa russo ortodossa la lettera di Francesco sia stata pubblicata… beh, non stupisce: miglior legittimazione Kirill non poteva sperare per sé stesso anche nel corso di una cristiana guerra santa di aggressione di cui egli sposa profondamente le “ragioni”.

Alla coscienza cattolica e cristiana contemporanea sarebbe bene che il Papa chiarisse anche certe oscurità della sua recente intervista al quotidiano argentino “La Nacion”.  Egli ha confermato il rapporto “molto buono” che ha con Kirill, avendo anche cura di sottolineare quanto segue: «Mi dispiace che il Vaticano abbia dovuto annullare un secondo incontro con il Patriarca Kirill che avevamo programmato per giugno a Gerusalemme. Ma la nostra diplomazia ha ritenuto che un incontro tra noi in questo momento potesse portare molta confusione» Come è noto Francesco e Kirill si sono incontrati una sola volta, nel 2016, a L’Avana dove hanno firmato una dichiarazione congiunta. Davvero stupisce comunque il rimpianto esplicitato chiaramente dal Papa per aver dovuto in qualche modo soccombere ora alle ragioni della diplomazia per quanto riguarda il rinvio dell’incontro.

Ma davvero, verrebbe da chiedere, Sua Santità, capo della religione cattolica e artefice di un messaggio religioso cristiano che ripudia la guerra santa, non ha pensato da solo quanto un incontro del genere sarebbe costato all’intera coscienza cattolica e cristiana contemporanea, dopo la cristiana guerra santa di aggressione all’Ucraina benedetta da Kirill? Ma poi a seguire il Papa specifica la dichiarazione precedente secondo i termini seguenti, che però non risultano chiarificatori più di tanto dato che genericamente si ricordano le ragioni del dialogo interreligioso a lui da sempre caro: «Io ho sempre promosso il dialogo interreligioso. Quando ero arcivescovo di Buenos Aires ho riunito in un fruttuoso dialogo cristiani, ebrei e musulmani. È stata una delle iniziative di cui vado più orgoglioso. È la stessa politica che promuovo in Vaticano… per me l’accordo è superiore al conflitto».

E ancora la Politica: eccola balzare di nuovo alla ribalta… Quel che è certo è che la guerra in corso squassa profondamente la coscienza di tanti cattolici nei confronti del loro Papa… a lui il compito di chiarire anche a loro tanti perché.


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