Un gasdotto libico
5 minuti per la letturaQuando si è tenuto il primo vertice Russia-Africa nell’ottobre 2019, la maggior parte degli osservatori del settore riteneva che gran parte dei progetti in discussione non avrebbe superato la fase delle Decisione finale di investimento (Fid) soprattutto per le diverse prospettive economiche in campo.
Al contrario, invece, oltre alle esportazioni di grano, alle tecnologie nucleari, alle armi convenzionali e all’estrazione di minerali, anche il petrolio è stato preso in grande considerazione.
Con l’accordo Opec Plus, le compagnie petrolifere russe hanno abbastanza denaro da investire, ma stando ben attente alle incertezze future dei progetti nazionali, che rischiano di finire nella categoria della “capacità produttiva di riserva”.
Le sanzioni internazionali e le derive che comportano, infatti, hanno costretto la Russia a guardare al di là delle consuete regioni di investimento a cominciare dall’Europa che dal 2014, non è praticamente più presa in considerazione.
Gazprom è infatti un investitore poco gradito nel Vecchio Continente e anche società private come la Lukoil hanno deciso di cedere le attività downstream riducendo la presenza retail (si veda Il Quotidiano del Sud del 1° marzo 2022). Stesso discorso per quanto riguarda Stati Uniti e Canada per motivi prevalentemente politici, mentre le compagnie petrolifere nazionali del Medio Oriente sono cresciute fino a diventare concorrenti dei russi, a loro volta alla ricerca di opportunità per diversificare il proprio portafoglio.
Ecco perché la Russia ha varato una strategia di penetrazione “silenziosa” in Africa e cerca di “soffiare” agli italiani gli accordi in itinere con Paesi come Algeria e Egitto dai quali il nostro Paese vorrebbe acquistare più gas per rendersi indipendente dalle forniture moscovite.
Il ministero dell’Energia russo, tuttavia, si è rifiutato più volte di collegare l’interesse della Russia per l’Africa con i tagli imposti dall’Opec Plus, affermando che i progetti greenfield richiedono di solito 5-7 anni prima della messa in funzione, un divario temporale troppo ampio per poter influenzare qualsiasi previsione. Eppure nessuno sa esattamente quando i tagli dell’Opec Plus si fermeranno e le compagnie petrolifere devono prepararsi per il futuro e non possono agire solo in seguito alla decisione (di solito abbastanza improvvisa) di aumentare la produzione a livelli normali.
Con gran parte delle major americane ora concentrate sul gas di scisto, e sugli sviluppi in acque profonde, la Russia ha in sostanza intravisto in Africa occidentale un nuovo ruolo per sé stessa. E punta anzitutto alle riserve di metano di Algeria, Libia ed Egitto, dove non mancano suoi avamposti commerciali. Grazie ai quali vorrebbe acquistare gas da utilizzare come forma indiretta di pressione verso quei Paesi come l’Italia che è uno dei 52 Paesi che hanno applicato puntualmente le sanzioni economiche e commerciali adottate da Ue e Usa contro Mosca a causa dell’invasione dell’Ucraina. Ma naturalmente il continente africano offre anche altre opportunità.
La Repubblica Democratica del Congo è emersa come una delle aree chiave per gli investimenti russi in Africa. Non è il primo paese africano a registrare investimenti russi di per sé: Rosneft ha già acquistato partecipazioni in progetti di produzione di gas in Egitto (Zohr) e Mozambico, mentre Lukoil ha avuto una vicenda piuttosto caotica in Ghana. Tuttavia la Rdc può essere considerato il primo Paese in cui le aziende russe sono in grado di assumere impegni complessi, comprese le soluzioni relative alle infrastrutture. A differenza del passato, questi impegni non saranno presi da una compagnia petrolifera e del gas, ma dalla VEB, la società statale per lo sviluppo: e nei prossimi mesi VEB e la compagnia petrolifera congolese SNPC dovrebbero concludere l’accordo per la costruzione di un oleodotto per i prodotti petroliferi.
Questo oleodotto della capacità di 2,1 milioni di tonnellate annue collegherà il porto congolese di Pointe Noire con il terminal di Maloukou vicino a Kinshasa, fornendo sia benzina e diesel, sia kerosene per l’aviazione. L’accordo per l’oleodotto arriva a distanza di pochi mesi dall’entrata in Congo della principale compagnia petrolifera privata russa la Lukoil con l’acquisto del 25% del blocco di licenze di Marine XII. Marine XII, gestito da Eni, comprende cinque campi scoperti con una riserva totale di 1,3 miliardi di barili che dovrebbero raggiungere un livello di produzione di 100 mila barili giornalieri, sostanzialmente triplicato rispetto all’attuale livello di produzione di circa 30mila barili giornalieri.
L’investimento di 770 milioni di dollari su Marine XII andrà ad integrare il precedente coinvolgimento di Lukoil nell’offshore del Ghana dove l’obiettivo è iniziare le perforazioni per sviluppare il campo ultra-profondo di Pecan (con riserve stimate di 0,34 miliardi di barili) che si trova nel blocco Deepwater Tano Cape Three Points. Oltre a ciò, Lukoil e la società statale russa di esplorazione geologica Rosgeologia hanno firmato accordi separati con la Guinea Equatoriale per le future attività di esplorazione nel Paese.
L’accordo per l’oleodotto con la Repubblica Democratica del Congo rafforza la sua presenza sul mercato congolese in quanto verrà utilizzato per alimentare sia Kinshasa sia Brazzaville. Potrebbero rientrare in gioco anche potenziali attività upstream in Camerun – Lukoil ha acquisito una partecipazione del 37,5% nel campo offshore di Etinde nel 2014 – se l’azienda russa decidesse di avviare il suo programma di perforazione nella regione. Se a questo si aggiunge la prospettiva di un successo della valutazione e perforazione russa in Guinea Equatoriale, si ottiene una rete abbastanza fitta di copertura in Africa occidentale.
Ma qual è la ragione per cui le aziende russe hanno tutto questo interesse per l’Africa? In primo luogo, perché hanno obiettivi interni da raggiungere che, data la tolleranza zero per qualsiasi sostanziale liberalizzazione del mercato, saranno piuttosto difficili da raggiungere se si concentreranno esclusivamente sui progetti in patria. Inoltre, con la raffica di sanzioni già scattate e quelle in arrivo, è gioco-forza necessario cercare mercati di approvvigionamento di materie prime da poter vendere a Paesi che continuano, nonostante la guerra in Ucraina, a fare affari con Mosca, onde poter bilanciare gli effetti negativi che le misure di embargo all’export e all’import stanno cominciando ad avere.
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