Vladimir Putin
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La guerra in Ucraina è un conflitto condotto esclusivamente con mezzi convenzionali. Fin prima del suo inizio (24 febbraio), è stata condotta sotto la minaccia esplicita di Putin di far ricorso alle armi nucleari, anche per impedire “interferenze” di potenze esterne, cioè di rifornimenti di armi da parte degli Usa e degli Stati europei della Nato. Lo prova la messa in stato d’allarme delle armi nucleari strategiche russe. Il ministro della difesa, Shoygu, ha cercato di minimizzarla, dicendo che si era trattato solo di un aumento del personale dei centri di allerta e di comando e controllo delle forze strategiche.
LA TEORIA DEL PAZZO
Putin ha però insistito sulla sua minaccia. Aveva indubbiamente puntato sul timore degli Usa e dell’Europa di un allargamento del conflitto, per raggiungere gli obiettivi dell’aggressione all’Ucraina: denazificazione, cioè cambiamento di regime, smilitarizzazione, neutralizzazione, eliminazione delle tendenze all’europeizzazione del Paese, che avevano provocato la “rivoluzione arancione” e quella “Maidan”, non solo antirusse, ma suscettibile di “contagio dei valori dell’Occidente decadente” nella stessa Grande Russia.
All’inizio, le minacce di escalation del conflitto erano state ritenute un semplice bluff. Oggi, con le grandi difficoltà incontrate in Ucraina dall’esercito russo, la probabilità che si tratti di una minaccia reale aumenta. Putin, disperato di fronte alla prospettiva di una sconfitta, potrebbe dare l’ordine di superare il taboo nucleare, che regge da Hiroshima e Nagasaki.
Viene temuto, inoltre, che possa far uso di armi chimiche e biologiche, che la Russia possiede in larga quantità e che continua a perfezionare, in dispregio delle convenzioni internazionali che ne vietano non solo l’impiego, ma anche la produzione (Nixon l’ha vietata in Usa nel 1969). La Russia continua a produrle come dimostra l’uso del Novicok (nervino o anticolinesterasico, tipo Ddt).
L’Occidente non ha difesa disponibile in breve tempo per la popolazione ucraina. Le sue scorte di vaccini, antidoti e antibiotici sono insufficienti per le sue esigenze. Non resta che la dissuasione. Biden vi ha accennato nel suo discorso a Varsavia. Giustamente non ha precisato quale sarebbe la risposta Usa, qualora Putin decidesse di far ricorso alle armi chimiche, che è ritenuto più probabile di quello alle armi nucleari o a quelle biologiche. Potrebbe consistere nella distruzione di giacimenti petroliferi e gasieri dello Yamal o nell’affondamento di qualche nave nel Mar Nero.
La risposta occidentale sarà certamente molto dura. Anche se Biden ha affermato che sarà proporzionata alla gravità dell’attacco russo, per avere effetto dissuasivo deve essere decisamente sproporzionata rispetto ai vantaggi che Putin può pensare di ottenere con l’uso di armi di distruzione di massa. È quanto ci insegna la teoria dei giochi: dal chicken game alla “teoria del pazzo” tanto efficacemente teorizzata da Nixon.
QUALI ARMI USERÀ PUTIN
Finora, l’Occidente non si è lasciato spaventare, come ha ricordato lo stesso Biden a Varsavia, citando quel grande Pontefice che è stato Giovanni Paolo II. Speriamo che in Occidente non prevalga la paura, come vorrebbero tanti illustri personaggi. Nella realtà del confronto in atto, ha paura solo chi ha deciso di averla, evidentemente per qualche motivo spesso inconfessabile.
La dissuasione nucleare – non la condanna delle armi – ha contribuito a mantenere “fredda” la guerra fredda: cioè la pace. La vera differenza non è fra la pace e la guerra, è fra la “pace di Putin” e la “pace di Zelensky”. Non precisare quale si vuole, ma invocare semplicemente “la pace” è, nel caso migliore, una semplice ipocrisia. Non la commette il Patriarca Kirill, per il quale lo scopo dell’aggressione russa è «liberare l’Ucraina dal peccato!».
Abbiamo sostenuto che l’uso di quelle chimiche è più probabile di quello di armi biologiche e che è più probabile quello di armi nucleari tattiche di ridotta potenza rispetto a quelle di testate di grande potenza. Per completare la nostra analisi, va aggiunta l’eventualità del ricorso ad armi radiologiche, che potrebbe avvenire sia da parte russa che da parte ucraina. Devo subito precisare che ritengo bassa la probabilità del ricorso ad armi di distruzione di massa. Esse vanno però considerate, perché il rischio è comunque elevato sia per i loro effetti diretti sia per quelli indiretti, data l’entità delle conseguenze strategiche e psicologiche che potrebbero avere sulle relazioni internazionali globali.
Ritengo più probabile il ricorso al chimico anziché al biologico, perché il primo ha effetti più localizzati e controllabili. I nuovi aggressivi chimici sviluppati dalla Russia hanno un’efficacia rilevante. Le armi biologiche sono più persistenti. La loro efficacia dipende dalle condizioni meteo. Possono sfuggire al controllo e diffondersi su ampi territori, anche su quelli di chi le impiega.
L’uso da parte russa di armi nucleari tattiche – per quanto di piccola potenza, miniaturizzate specializzate (ad esempio, neutroniche, che distruggono i carri armati ma non gli edifici, o di penetrazione in profondità) e con minimo fallout radioattivo – mi sembra improbabile per le reazioni negative anche della Cina e dell’India, ma anche perché renderebbe più probabile una risposta nucleare da parte degli Usa. Anche se Putin non sembra più essere il personaggio realistico, pragmatico e lucido del passato, non ritengo che, anche nelle condizioni disperate in cui secondo molti sembra trovarsi, sia tanto folle da ordinare un’escalation che potrebbe portare alla distruzione della Russia, con l’unica soddisfazione di distruggere anche il mondo.
INCUBO “BOMBE SPORCHE”
Ritengo che i militari russi (in particolare Shoygu e Gerasimov) non gli obbedirebbero. Mi ha perciò preoccupato che i due, in possesso della seconda e della terza chiave nucleare, non abbiano risposto per una settimana al generale Mark Milley, presidente degli Stati maggiori congiunti Usa, con cui erano in contatto con la Deconfliction line, una specie di “telefono rosso” fra vertici militari americani e russi per evitare lo scoppio di una guerra per errore. Ora sono riapparsi e hanno riattivato i contatti. Temevo che Putin li avesse sostituiti con generali più disponibili a eseguire i suoi ordini.
Infine, per completezza di trattazione, si deve accennare al rischio di bombe radiologiche o “sporche”. In Ucraina, esso potrebbe materializzarsi in due modi. Con il sabotaggio di una centrale nucleare che ne produca la fusione del nocciolo e una fuga radioattiva tipo Chernobyl, oppure – su scala molto meno pericolosa – la rottura della piscina di raffreddamento delle barre esauste di combustibile, collocata al di fuori del Vessel cioè della parte corazzata a prova di impatto di aereo a pieno carico, dove avviene la fissione nucleare.
Ritengo del tutto improbabile l’ipotesi di un sabotaggio deliberato di un reattore nucleare, anche perché la ricaduta radioattiva cadrebbe anche in Russia, dato che i venti dominanti sono gli alisei (da Ovest a Est). Più probabile, ma comunque a più lungo termine, soprattutto in caso di sconfitta ucraina, ritengo l’uso in città russe di “bombe sporche”, costruite con le pile nucleari utilizzate in medicina, in agricoltura o nell’industria chimica. È una minaccia incombente in tutti i Paesi. Potrebbe rendere inabitabili intere città senza grandi lavori di demolizione e decontaminazione. La sua pericolosità dipende dal livello di sicurezza in cui sono conservate le scorie nucleari.
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