Ucraini in fuga da Mariupol
4 minuti per la letturaLa sua casa, l’ultima volta, l’ha rivista qualche giorno fa. Ma è stato giusto un attimo, appena il tempo di far salire in macchina la sua famiglia e fare retro-front alla svelta. Allo scoppio della guerra, Roman Kruglyakov Mariupol l’ha lasciata quasi subito. Dopo gli attacchi dell’esercito russo si è rifugiato a Urzuf, un paesino sul mare d’Azov ormai interamente controllato dalle forze russe.
I suoi concittadini, invece, loro sono rimasti indietro, nel mirino del fuoco di Mosca, ammassati nei seminterrati senza luce ed acqua della Leningrado ucraina. Da una settimana ormai, per cercare di salvarli, Roman fa la spola tra il villaggio costiero dove vive adesso e la città simbolo della resistenza a Putin. Oltrepassa i check point russi, si addentra in quel lugubre teatro di morte e disperazione, e riempie la sua macchina di donne e bambini, quanto più possibile, fino a un massimo di nove per volta. Fino ad ora, in tre viaggi, è riuscito a portare al sicuro 25 persone.
Il pensiero di andare a prendere altra gente lo sveglia tutte le notti, ci racconta, ma ogni volta varcare il confine di Mariupol è come giocare una scommessa al buio con la morte, si sa come si è entrati e non si sa come e se si uscirà vivi. I suoi concittadini hanno paura di affidarsi a lui, sperano ancora nel soccorso delle organizzazioni umanitarie, non ci credono che il governo li lascerà a morire di sete e di freddo in dieci metri quadrati di scantinato.
«Verranno vero»? È la domanda che Roman si sente ripetere sempre, quella che rimbalza di bocca in bocca e accende gli occhi di improvvisi lampi di speranza. Lui risponde che no, non verrà nessuno, perché i corridoi umanitari sono bloccati e i russi sparano sulla folla. Allora qualcuno si decide a partire, mentre gli altri – la maggior parte – rientrano alla svelta nelle case, inghiottiti dal buio dei loro rifugi, da cui riemergono solo di rado.
«Hanno paura perfino di mettere il naso fuori dalla porta. Pensano a molti di quelli che sono usciti, anche solo per cercare qualcosa da mangiare, che poi non sono mai più tornati» è la triste spiegazione.
A volte, per convincerle ad abbandonare Mariupol, Roman mente alle persone che vuole portare a Urzuf. Promette cibo caldo, elettricità, connessione a internet.
«Dico loro cose che non sono vere, ma non me ne vergogno, perché so che questa gente arriverà in un posto molto migliore di quello in cui si trova ora». Ripercorrere le strade della sua città, quelle dove ha trascorso tutti i suoi 32 anni e che ora si sono trasformate in un’oscena parata di cadaveri e soldati, per lui è come piombare all’inferno. Il cibo, recuperato nei pochi alimentari che ancora hanno a disposizione qualche scorta, si cuoce tra le macerie, su fuochi di fortuna. I telefoni, scarichi da giorni, vengono abbandonati per terra, e sapere cosa succede fuori è quasi impossibile.
«Queste persone hanno perso qualsiasi contatto con il mondo esterno, non hanno più informazioni sugli sviluppi dei combattimenti. Sono totalmente isolate, passano le loro giornate ad aspettare, nella speranza che qualcuno si ricordi di loro».
Ecco perché, dice concitato Roman, «i caricabatterie a energia solare sono il bene più raro e prezioso di questi tempi, più di tutti gli altri». E poi c’è la disperazione degli uomini, che bevono ormai senza sosta per dimenticare l’orrore della guerra. «Sono sempre ubriachi, molti di loro mi hanno aggredito; sono pericolosi, disposti a tutto perché sentono che non hanno più niente da perdere».
Dall’inizio dell’invasione di Mosca, nella città che ancora non si arrende alla furia di Putin, si contano almeno 3000 morti tra i civili, mentre gli edifici distrutti sono l’80% del totale. Fonti ucraine parlano di bombe sganciate al suolo a cadenza ravvicinata, una ogni dieci minuti, e di decine di cittadini deportati forzatamente in Russia. Roman, a causa della guerra, ha perso, tra le altre cose, anche il suo lavoro come manager. Per il momento conta di rimanere a Urzuf con la sua famiglia, nell’attesa di capire, giorno per giorno, come muoversi, come ricostruire d’accapo tutta la sua vita.
A Mariupol, la bella città sul mar d’Azov martoriata dai russi, non pensa di ritornare mai più.
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