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I russi stanno subendo in Ucraina consistenti perdite di personale e mezzi. Non possono continuare a subirle ancora a lungo. Le proposte in 15 o 16 punti, presentate dalla loro delegazione alle trattative con quella ucraina, e il tono più conciliante usato dal loro ministro degli Esteri, Lavrov, provano che ne sono consapevoli.

Putin cerca in qualche modo di uscire dal guaio in cui si è cacciato. Beninteso, cerca di “tornare a casa” con qualcosa che possa chiamare “vittoria”. Sta inviando rinforzi, anche dall’Ossezia del Sud, “grattando” il fondo del barile delle sue capacità militari.

A MOSCA DISASTRI TATTICI E INTELLIGENCE KO

All’origine del disastro non vi sono solo incredibili errori strategici e di intelligence, ma anche inadeguatezze logistiche e tattiche che hanno sorpreso tutti. L’intelligence ha sottovalutato la volontà di resistenza del governo, dell’esercito e della popolazione ucraini, inclusa la collaborazione della minoranza russofona. Non solo non ha appoggiato le forze russe, costituendo una “quinta colonna”, ma le sta combattendo, a quanto riferiscono i corrispondenti sul campo.

Se l’Ucraina non era una nazione, Putin l’ha creata. Ha rafforzato anche la Nato, che non è mai stata solida come ora. Come mai, proprio in uno proveniente dal Kgb? C’è da pensare che Putin, dopo più di vent’anni di potere, sia sempre più isolato e distaccato dalla realtà. È un fenomeno comune a tutti gli autocrati. Non dovendo confrontarsi con un’opposizione si circondano con un numero sempre più ridotto di cortigiani incapaci, ma fedeli. Dicono quello che immaginano che il “capo” voglia sentire. È una sicura ricetta per il disastro. È successo a Mussolini e a Hitler. È quanto forse avviene nella Cina di Xi Jinping.

Gli errori di valutazione hanno provocato l’adozione di strategie inadeguate. Quella iniziale della trionfale “guerra lampo”, si è trasformata in una di logoramento. Se il conflitto continuasse, potrebbe trasformarsi ancora: in guerriglia. Il logoramento riguarda più le forze russe e la popolazione ucraina delle città, che l’esercito e le forze di resistenza popolare di Kiev.

NEL GOVERNO UCRAINO DUE TENDENZE OPPOSTE

Nel governo ucraino, così come in Europa, esistono due tendenze opposte. Non so se la loro contrapposizione sia reale, oppure strumentale a ottenere migliori condizioni in sede negoziale. La prima è più disponibile a compromessi: alla perdita di territori, a una neutralità poco garantita e una riduzione delle armi, ecc. in cambio del “cessate il fuoco” e del ritiro delle forze russe. Sembra essere quella di Zelensky.

La seconda è più radicale. L’Ucraina va reintegrata nei territori che possedeva nel 1991. È la posizione della poco irenica vice di Zelensky (Iryna Vereschuk), espressa in tv in Italia e confermata a Kiev da Lorenzo Cremonesi. Il conflitto andrebbe prolungato. La Russia umiliata e sconfitta.

Spero che le proposte di Mosca, per ora chiaramente inaccettabili per Kiev, vengano modificate per tener conto della realtà. Si eviterebbero così due pericoli. Primo: che Putin divenga disperato e ricorra alle armi di distruzione di massa. Secondo: che dopo un’umiliante sconfitta, la Russia piombi nel caos di una guerra civile, rischiosissima per tutti, date anche le migliaia di armi nucleari che ha sul suo territorio.

A parte gli errori strategici, causa della sconfitta russa – inevitabile se continua il flusso di rifornimenti di armi dall’Occidente – è l’ordinamento adottato nella ristrutturazione dell’esercito russo dalla metà dello scorso decennio. Per capirne la logica occorre approfondire i dibattiti riportati dalle riviste militari sul “reinventare” il modo di combattere, le basi culturali della dottrina militare e la tradizionale importanza che la “scienza militare” ha sull’organizzazione delle forze e sulla dottrina tattica.

Le fonti principali, al riguardo, sono rappresentate dagli scritti e dai discorsi di Šoygu, ministro della difesa, e di Gerasimov, capo di stato maggiore generale.

L’ORGANIZZAZIONE MILITARE RUSSA

In Occidente si è preso sulle loro teorie un “granchio” colossale. Si sono considerati i teorici della “guerra ibrida”. Di una guerra in cui vengono coordinate forze regolari con irregolari, quinte colonne con attentati e manifestazioni, disinformazione con cyberattacchi.

Né Šoygu né Gerasimov usano il termine “guerra ibrida” (il termine è stato inventato da un ricercatore dell’Army War College, ma era ormai rientrato nell’uso corrente). Per indicare una guerra caratterizzata dall’uso coordinato di mezzi militari e non-militari, Šoygu e Gerasimov usano il termine di “guerra non lineare” o di “nuova generazione”. Non ne propongono l’adozione da parte della Russia. Affermano che essa sia alla base della dottrina militare della Nato, che ha “militarizzato” dollaro ed euro.

Da convinti clausewitziani, pensano di rispondere alla minaccia con la forza militare e con un’organizzazione delle Forze Armate che tenga conto del declino demografico russo e dell’impossibilità di sostenere consistenti perdite di coscritti e di richiamati. Sono perciò favorevoli a strutture militari che privilegino la potenza di fuoco rispetto all’entità degli effettivi. Le loro idee sono state condivise da Putin. Ne è derivata la ricostituzione delle divisioni, articolate in brigate, con 3-4 Gruppi Tattici a livello Battaglione (TBG). Ciascuno di essi ha circa 1.000 uomini, ma meno di 200 fanti. La carenza di fanteria è alla causa del fallimento dell’attacco all’Ucraina.

Ogni TBG è costituito da 1 compagnia (cp) carri, 3 cp meccanizzate, 2-3 batterie (btr) d’artiglieria, 2 btr controaerei, 1 btr lanciarazzi e una cp di supporto (logistica, ma anche drones e tiratori scelti).
Nel marzo 2019, Šoygu affermò che l’esercito era composto già da 136 TBG, destinati a divenire 225 con le forze speciali, con i paracadutisti e con i marines. Ne esaltò la flessibilità, la capacità d’agire autonomamente e la potenza di fuoco. Erano chiaramente organizzati per penetrare rapidamente lungo le strade dell’Occidente. Riaffermò tale valutazione durante l’esercitazione “Zapad 2021”, che coinvolse quasi 200.000 uomini (“Zapad” significa Occidente).

LA DÉBACLE IN UCRAINA

In Ucraina tali caratteristiche divennero disastrose vulnerabilità. L’aumento della temperatura non rese possibile ai TBT l’abbandono delle strade. Vi rimasero in colonna, subendo grosse perdite (secondo gli ucraini 360 carri e 1250 veicoli corazzati) dalle quasi 20.000 armi controcarri fornite dall’Occidente e dai drones comperati dai turchi. La fanteria russa non era sufficiente a proteggere i fianchi delle colonne corazzate. Ancor meno potrà affrontare i combattimenti urbani.

Il comando russo ha quindi intensificato i bombardamenti dell’artiglieria e dei missili sulle città, nella speranza di terrorizzare la popolazione e indurre il governo a cedere. Impiega poco gli aerei. Avendo poche bombe di precisione devono effettuare attacchi a bassa quota, divenendo vulnerabili agli Stinger (efficaci fino a 3.500 m).

IL RICORSO AI VOLONTARI CECENI E SIRIANI

Ha poi fatto ricorso a “volontari” ceceni e siriani. I primi, entrati entusiasti in Ucraina, per la promessa di donne e bottino, hanno subito molte perdite, sia a Nord di Kiev che a Mariupol. Ora si lamentano di essere stati impiegati dai russi come “carne da cannone”.

Anche i secondi (si parla di 16.000 soldati) non potranno sopperire alle carenze della fanteria russa. Si trovano infatti a dover combattere in zone sconosciute e in condizioni climatiche che sono molto diverse da quelle a cui sono abituati.

La maggiore vulnerabilità degli ucraini è che venga interrotto l’afflusso di armi e munizioni controcarro e controaerei dall’Occidente, a dispetto di benpensanti nostrani che, spero vivamente, continuano a pensare che basti fare qualche sceneggiata per la pace per poterla davvero realizzare.


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