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Il conflitto in Ucraina continua. Sta aumentando d’intensità. Durerà ancora a lungo. Gli esiti sono incerti. Non è detto che Putin vinca, cioè che riesca a raggiungere tutti i suoi obiettivi: la resa senza condizioni dell’Ucraina e l’installazione di un governo filorusso. Ha perso di sicuro la guerra delle informazioni. Ma non dove gli interessa, cioè in Russia. Una consistente maggioranza della sua popolazione approva il suo operato. La Chiesa Ortodossa lo benedice.

La cosa è spiacevole per i fautori della trattativa a ogni costo, che vogliono la pace ad ogni costo pur di far cessare le morti, le sofferenze e le distruzioni. Fra di essi vi sono anche i deboli e indecisi governi dell’Unione Europea. Continuano a riempirsi la bocca con parole di sostegno all’“Eroica Ucraina” e con l’affermazione che mai nella storia sono state imposte sanzioni tanto dure quanto quelle decise contro Putin. Si tratta in gran parte di retorica. Di fatto, dominano i “distinguo”. Non accettano di pagare appieno i costi delle sanzioni. Temono l’opposizione dei loro cittadini. L’attenzione di questi ultimi è focalizzata sui disastri umanitari, sulle donne piangenti, sui rifugiati disperati, sulla generosità di chi li accoglie e li assiste.

La grande informazione rifiuta l’essenziale, che cioè le sorti dell’Ucraina e le ricadute del conflitto in corso non dipenderanno dall’emergenza umanitaria, ma dai suoi riflessi geopolitici interni e internazionali. Ammesso – ma non concesso – che i combattimenti restino limitati al territorio ucraino, i loro effetti saranno comunque globali. Lo saranno sia se l’estensione avviene per scelta deliberata di Putin o per escalation da un incidente fortuito. Nessuno potrebbe essere in condizione di frenarla.

Il dopo-conflitto sarà influenzato profondamente dagli esiti della guerra. Sicuramente, i governi hanno studiato le conseguenze dei modi differenti in cui potrebbe finire, e hanno individuato interessi e valori da difendere e politiche e strategie con cui farlo nei vari casi ipotizzati. Tali analisi non sono state rese pubbliche. Mi sembra del tutto ragionevole che non lo siano state. Far conoscere le proprie intenzioni diminuisce la flessibilità di adeguarsi alla situazione reale. Aumenta anche la propria vulnerabilità. Tutti i governi hanno quindi fatto ricorso al solito trucchetto: quello d’invocare la pace e di sottolineare il proprio impegno per far cessare morti e distruzioni. Hanno anche insistito sulla loro unità e determinazione. Si è distinta, al riguardo, l’Unione Europea. Ha esaltato la sua fermezza, anche dopo la riunione di Versailles dell’11 marzo, in cui ha concluso poco o nulla. In particolare evidenza sono state messe l’autonomia e la “bussola strategica” dell’Europa, sottacendo che la finzione dell’esistenza di entrambe è stata resa possibile solo dalla NATO e dal deterrente nucleare americano e dallo schieramento sul confine fra la Polonia e l’Ucraina della 82^ divisione aerotrasportata USA.

L’approfondimento degli scenari di fine conflitto potrebbe imporre di definire gli interessi nazionali da perseguire, quale politica adottare e come coordinarla in ambito europeo. Occorrerebbe per far questo dare risposta a interrogativi del tipo: che fare con la Russia? E cosa con l’Ucraina o quanto ne rimarrà, se non verrà assorbita nella “Madre Russia”? Come comportarsi con l’ambiguità cinese la quale, di certo per gli interessi di Pechino, non ha per ora abbandonato al suo destino l’“amico Putin”? Che, fare con l’autonomia strategica dell’UE e con la NATO? Che fare per salvare la globalizzazione e ridurre la dipendenza dal gas e dal petrolio russi? Potrà essere utilizzato e a che prezzo geopolitico il rifornimento dall’Iran, che possiede le maggiori riserve di gas al mondo?

A tali interrogativi – sui possibili scenari di fine e di post-conflitto in Ucraina e sulle loro conseguenze – cercherò di dare risposta domani sulle pagine di questo quotidiano. In questa sede, elencherò una serie di ipotesi su come potrebbe finire il conflitto. i) Putin consegue un completo successo e si impadronisce di tutta l’Ucraina; ii) Il conflitto finisce con un negoziato, quindi con un compromesso e una vittoria solo parziale di Putin, forse con la spartizione dell’Ucraina; iii) I russi vengono respinti o il loro esercito subisce tante perdite da imporne il ritiro; iv) Putin viene destituito da un colpo di palazzo e la Russia rischia una guerra civile; v) Il conflitto si espande e scoppia un conflitto fra la Russia e la NATO.

Beninteso, la complessità non può essere semplificata a solo tali cinque ipotesi. Cercheremo, quindi, di accennare ad aspetti più particolari. Ad esempio: i russi riescono a eliminare Zelensky con un attentato o lo catturano; sotto la minaccia nucleare l’Occidente lascia gli ucraini al loro destino; i militari o il popolo russo si rivoltano; la Cina, per il timore di rappresaglie occidentali, preme su Putin perché si ritiri; la Cina approfitta della distrazione americana in Europa per attaccare Taiwan; l’Europa estende le sanzioni al petrolio e al gas russi; e così via. Chi più ne ha più ne metta. Anticipo subito che, a parer mio, la resistenza ucraina avrà a lungo andare la meglio. Forse, non riuscirà ad impedire l’invasione del paese, compresa quella delle città. Ne renderà però troppo costosa l’occupazione.

Per sostenere il loro “governo fantoccio”, i russi dovranno mantenere in Ucraina un elevato numero di soldati e sostenere perdite elevate. Il rifornimento di armi occidentali non finirà. Malgrado che le milizie territoriali, poco addestrate, consumino molte più munizioni dei professionisti, ne avranno a sufficienza per dare filo da torcere alle forze russe. Putin continuerà ad essere sottoposto a sanzioni sempre più dure. I governi europei supereranno nel tempo le esitazioni attuali che li hanno indotti a escludere i prodotti energetici dalle sanzioni. Si accorgeranno che solo se sono implacabili le sanzioni sono efficaci e possono avere una durata limitata. In caso contrario è meglio parlare d’altro.


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