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L'oligarca russo Alexey Mordashov

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LA GUERRA fa male agli affari, anche a quelli di chi il conflitto lo provoca. Così scopriamo da Forbes che la campagna militare in Ucraina è già costata 90 miliardi di dollari ad alcuni dei più famosi oligarchi russi. Colpa delle sanzioni in particolare, che limitano l’export di materie prime – dal gas all’oro passando per il carbone – principale core business degli uomini più ricchi della federazione.

Ha perso 3,8 miliardi di dollari, per esempio, Vagit Alekperov che con 21,4 miliardi di dollari di patrimonio personale occupa il 66esimo posto nella classifica dei paperoni mondiali, aggiornata in presa diretta da Forbes. Il suo campo d’azione è l’oro nero, è infatti presidente di Lukoil la più grande compagnia petrolifera della Russia.

Di acciaio, invece, si occupa Alexey Mordashov (quasi 30 miliardi di dollari in cassaforte) come azionista di maggioranza della compagnia Several. Con il conflitto ha registrato una perdita da 3,3 miliardi. Decisamente più giù – nel ranking mondiale – troviamo Suleiman Kerimov. Nel 2003, quando era a capo della Nafta Mosca, fu a un passo dall’ingresso nel nostro campionato di calcio, con l’acquisto della Roma, ma la trattativa sfumò misteriosamente quando si era arrivati alle firme, con grande disappunto dei tifosi giallorossi. Oggi si occupa di oro tramite la compagnia Polyus e la guerra gli è costata ben 2,6 miliardi.

Il 59esimo uomo più ricco del mondo risponde al nome di Vladimir Lisin, presidente di Nlmk società leader nella manifatturiera dell’acciaio. I suoi guadagni, quando sono esplose le prime bombe, sono scesi di 2,5 miliardi. Ma con un patrimonio da 26,5 non si starà strappando i capelli.

Fra i più “poveri” c’è Oleg Tinkov, fondatore della Tinkoff Bank – quotata a Londra dal 2013 – che ha registrato perdite per 2 miliardi. Non ha bisogno di presentazioni Roman Abramovich che, proprio sull’onda della crisi ucraina, ha da un paio di giorni annunciato le sue dimissioni da patron del Chelsea, club che ha acquisito nel 2003 e ha saputo portare – a suon di investimenti milionari – nel gotha del calcio mondiale. Con la guerra Abramovich ha visto sfumare 1 miliardo di dollari, a fronte dei 13,5 di patrimonio personale.

Dalla caduta dell’Urss gli oligarchi sono il vero motore dell’economia russa. I più ricchi, secondo Forbes, sono Mordashov, Vladimir Potatin (attivo nel campo dei metalli) e Lisin. Nella top 10 troviamo anche Gennady Timchenko, considerato molto vicino a Putin. Il suo campo? Gas – è azionista di Novatek – e petrolchimico (Sibur Holding). I suoi averi superano i 22 miliardi di dollari.

Alisher Usmanov, invece, ha cominciato a far soldi ai tempi dell’Urss producendo sacchetti di plastica, ora è fra i principali investitori (detiene il 49%) del gigante dell’acciaio Metalloinvest. Ma il suo business guarda anche alla tecnologia: ha investito in Facebook e Xiaomi. La prima impresa commerciale di Andrey Melnichenko (patrimonio: circa 18 miliardi di dollari) è stata invece una catena di sportelli per il cambio valuta fondata negli anni ’90. Oggi possiede partecipazioni nel produttore di fertilizzanti Eurochem e nella società di energia del carbone Suek.

Pavel Durov, da parte sua, è considerato lo Zuckerberg russo per aver creato l’app di messaggistica Telegram, principale competitor di Whatsapp a livello mondiale. In precedenza, a soli 22 anni, Durov aveva sviluppato il social network Vk, il più diffuso in Russia, dalla cui direzione si è dimesso nel 2014.

Curioso, però, che il russo più facoltoso non appartenga alla cricca e viva felicemente in Occidente. Parliamo di Sergey Brin, ottavo nella classifica mondiale del magazine Usa con un patrimonio personale da 104,9 miliardi di dollari. Nato a Mosca, da anni si trova negli Stati Uniti (di cui ha acquisito la cittadinanza) e insieme a Larry Page ha fondato Google. E Putin? Per Forbes resta uno dei leader più potenti e influenti della Terra. Ma sulla sua ricchezza vige il massimo riserbo. Tanto che nemmeno il magazine americano è mai riuscito a calcolarne l’entità.


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