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Vladimir Putin

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LE FORZE ucraine non solo non si sono arrese, ma combattono con coraggio. Sanno che prima o poi saranno soverchiate dalla superiore potenza di fuoco russa. Sperano però anche che quanto più a lungo resistono e quante più perdite infliggono agli invasori, tanto maggiore è la probabilità che Putin debba rinunciare ai suoi disegni. Le manifestazioni di ostilità contro l’iniziativa aggressiva di Putin, svoltesi nei giorni scorsi in varie città russe, ha agito da tonico sul loro morale, così come il dignitoso comportamento del presidente Zelensky. Altrettanto lo è stato il sostegno popolare e l’orgoglio per le lodi, tributate da tutto il mondo, all’eroismo dei soldati ucraini.

L’avanzata delle truppe di Mosca non è stata travolgente come sperava Putin. Rapida nelle piatte campagne, si è arenata nelle città. Nei combattimenti urbani i carri armati servono a poco. Sono necessarie le fanterie che, combattendo casa per casa, subiscono sempre gravi perdite. Putin non se le può permettere. Prima di esaminare la strategia, approfondiamo l’obiettivo che Putin si propone con l’attacco all’Ucraina. Certamente non è di conquistare l’intero paese, mantenendone poi l’occupazione. Sarebbe troppo costoso. Richiederebbe diverse centinaia di migliaia di soldati di cui non dispone, dopo la professionalizzazione dell’esercito e la quasi abolizione della coscrizione.

Non è neppure quello di limitare il diretto controllo di Mosca alla metà orientale del paese, ad Est del fiume Dnepr, o all’annessione oltre che del Donbas (bacino carbonifero del Don), anche dei porti di Odessa e di Mariupol, cioè dell’accesso dell’Ucraina al mare, per poterne condizionare le decisioni politiche.

Infine non è neppure quello di far firmare a Kiev un documento di rinuncia di far parte della NATO e dell’UE. Mosca sa bene che tali impegni sono carta straccia. Lo ha dimostrato con l’accordo di Budapest del 1994 in cui riconosceva l’inviolabilità delle frontiere ucraine in cambio della sua denuclearizzazione, o con quello di Minsk II del 2015, in cui s’impegnava di concordare una soluzione pacifica per le due province secessioniste del Luhansk e del Donetsk.

L’obiettivo di Putin è certamente quello di un “cambio di regime”, cioè d’installare a Kiev un “governo fantoccio” filorusso, che ponga l’Ucraina in condizioni di sovranità limitata da Mosca. Come pensi di rendere auto-sostenibile il nuovo regime è un mistero. Sono perciò giustificate le più fosche previsioni secondo le quali l’Ucraina costituirebbe per Putin solo un primo passo. L’obiettivo finale sarebbe la totale revisione dell’architettura geopolitica dell’Europa, risultante da quella che per noi occidentali costituisce la vittoria nella guerra fredda, ma che per Putin è stata un tradimento dell’Occidente e degli USA in particolare. Dopo aver promesso a Mosca sviluppo, benessere e rispetto, l’Occidente avrebbe sponsorizzato il collasso dell’URSS e allargato verso Est la NATO. Avrebbe così trascurato i vitali, irrinunciabili interessi di sicurezza russi.

Con la “rivoluzione arancione” prima, e l’“Euromaiden”, poi, starebbe assorbendo l’Ucraina, per schierarvi i suoi missili a pochi minuti da Mosca dopo il loro lancio, e non terrebbe conto dell’“unità storica” dell’Ucraina e della Russia, negata a Kiev da una classe dirigente di “nazisti, drogati, venduti e corrotti”. Per quanto riguarda l’unità storica dei popoli russo ed ucraino, Putin si è guardato bene dal menzionare le riforme di metà XIX secolo della Russia zarista che proprio per fronteggiare il nazionalismo ucraino crescente nella Russia zarista, aveva previsto una differenziazione dei russi fra i “grandi”, “piccoli” e “bianchi”, che l’Ucraina occidentale ha fatto parte per secoli degli imperi polacco-lituano prima, e asburgico, poi, e che circa un milione di ucraini avevano combattuto con i nazisti contro l’Armata rossa.

Comunque sia, l’identità nazionale ucraina si è consolidata con l’attacco di Putin. Dell’occidentalizzazione dell’Ucraina ho ampiamente parlato in un precedente articolo. Per me il vero pericolo, non tanto per la Russia quanto per il regime di Putin, sarebbe l’adesione dell’Ucraina all’UE, più che alla NATO. Un’iniziativa tanto dirompente quanto l’attacco su ampia scala all’Ucraina sarebbe giustificato solo se Putin si proponesse di proseguire nella demolizione dell’ordine europeo post-guerra fredda, ad esempio con un attacco ai paesi baltici, rischiando da giocatore di “roulette russa” e non di scacchi, come si definisce, la reazione dell’intera NATO e una guerra totale. Veniamo alla strategia seguita da Putin nell’attacco all’Ucraina. Se l’obiettivo fosse solo il regime change a Kiev, la strategia politico-militare adottata mi sembra tutt’altro che brillante.

L’appello alle forze armate ucraine di ribellarsi alla “depravata e corrotta gang” che governa il paese, doveva precedere l’attacco, non avvenire ad attacco in corso, mentre scrosciavano gli applausi agli eroici difensori della Patria e piovevano le bombe russe sui palazzi e altri obiettivi civili. Immaginate come si possa trovare un Quisling in tali condizioni! E’ poi strano che si siano impiegate più forze corazzate che fanteria, necessaria per occupare le città e che le forze disponibili siano state disperse su tre direzioni d’attacco, anziché concentrate su una sola per fare massa. Infine, non sono state seguite sufficientemente le tattiche proprie della “guerra ibrida”. Il ricorso all’infiltrazione di sabotatori, i “piccoli uomini verdi” della Crimea e di guerriglieri locali filorussi è stato ridotto. Diffuso ma non risolutiva è stata l’infiltrazione di soldati russi con divise ucraine. Essa è stata però in parte neutralizzata dalla cooperazione della popolazione civile con le forze ucraine.

Difficile è prevedere come andrà a finire e come Putin potrà uscire dal guaio in cui si è ficcato. Non ha dato prova di essere un genio strategico, come credono ancora molti in Occidente. La sua sarà stata ossessione patriottica, o sottovalutazione sia degli ucraini che delle reazioni occidentali, oppure “delirio di onnipotenza” che, dopo due decenni di potere assoluto ne ha ridotto la lucidità.  Sicuramente, chiamerà in Ucraina altre forze. Forse cercherà uno sponsor per iniziare in qualche modo negoziati, che non presuppongano un immediato umiliante ritiro delle forze attaccanti, come ha preteso a ragione Zelensky, sospettoso che i russi volessero solo guadagnare tempo per fare affluire nuove forze. 

Per il momento non ci resta che incrociare le dita, sperando di non dovere pagare, a prezzo troppo caro, le sanzioni e la necessaria fedeltà ai nostri alleati, non solo per ragioni etiche e di prestigio, ma anche perché essi, in caso contrario, ce la farebbero pagare ben più che l’uscita dallo SWIFT. Comunque, quanto più le sanzioni saranno dure tanto meno dureranno e peseranno meno sulla nostra economia.


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