Ursula von der Leyen e Vladimir Putin
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Ora è guerra vera, di invasione e aggressione, come il continente europeo non viveva dal 1939. I paragoni con la carneficina etnico-religiosa connessa alla dissoluzione dell’ex Yugoslavia non reggono. Qui ci troviamo di fronte a una invasione brutalmente tradizionale, dopo un lungo negoziato che aveva praticamente concesso a Mosca ben oltre l’ammissibile. Ma l’autocrate del Cremlino aveva portato la macchina bellica troppo avanti e la chiusura di ogni canale diplomatico era oramai chiara.
Che fare a questo punto? Il quadro è talmente confuso e in divenire che sarebbe da scellerati inoltrarsi in speculazioni e scenari sull’immediato futuro. L’unica certezza alla quale aggrapparsi è quella di un’apparente rinnovata compattezza del fronte europeo e di questo con quello atlantico.
LE NOSTRE DEBOLEZZE
Ma per pensare che una risposta coordinata euro-atlantica possa avere qualche possibilità di successo, occorre ripartire dalle nostre debolezze, guardarle con attenzione e provare a superarle.
Si può iniziare dalle debolezze più evidenti, quelle di natura militare e più in generale strategica. Da un lato l’Europa comunitaria ha cercato di eludere le conseguenze della fine della Guerra fredda. Ha pensato cioè di perpetuare la sua strutturale dipendenza dall’ombrello militare statunitense e allo stesso tempo ha fatto poco o nulla per recidere la sua cronica dipendenza energetica non solo, ma in larga parte, proprio dall’area ex-sovietica.
Dall’altro lato ha fatto forse ancora meno per ripensare l’Alleanza Atlantica o perlomeno per prendere atto della sua involuzione interna, il cui esempio più emblematico è stata certamente l’assurda condotta della Turchia di Erdogan, perlomeno dal 2016. Se vi è un effetto positivo indotto dall’aggressione russa, questo è il compattamento del blocco euro-occidentale all’interno della Nato.
La “morte cerebrale” alla quale accennava Macron nel 2019 potrebbe trovare oggi, di fronte alla minaccia russa, un’inversione di tendenza? Altrettanto evidenti sono state le debolezze diplomatiche perpetrate in questi anni. Putin, perlomeno dall’estate del 2008, con l’affaire della Georgia, è stato assecondato, in un crescendo davvero molto simile all’appeasement guidato Neville Chamberlain e culminato con l’ignominiosa parentesi di Monaco 1938.
L’attuale invasione dell’Ucraina è il punto più alto di una escalation che dopo la Georgia ha visto l’annessione della Crimea e la destabilizzazione del Donbass. Putin sta completando l’opera, l’occidente euro-atlantico si trova costretto a misurare le drammatiche ricadute di questa ignavia diplomatica.
UN DEFICIT DI CULTURA POLITICA
Ma ancora più imperdonabile e inaccettabile è una diffusa debolezza politico-intellettuale, un vero e proprio deficit di cultura politica, che si è espresso e si sta ancora mostrando lungo due direttrici principali.
La prima di queste è direttamente connessa al clima di colpevolizzazione che domina le nostre società politiche di matrice occidentale. Stiamo vivendo in uno stato di continua mortificazione, abusando strumentalmente della storia, alla ricerca di sempre nuove minoranze rispetto alle quali chiedere perdono per ogni sorta di nefandezze reali, ma più spesso, immaginate e decontestualizzate.
Qualcosa di simile si è verificato in questi anni a proposito delle presunte legittime aspirazioni della Russia di Putin al controllo del suo vicino più prossimo. Sempre in questa direzione si è accreditato il falso tema dell’immediata adesione di Kiev alla Nato, utilizzato ad arte da Putin per nascondere il suo vero obiettivo: impedire l’avvicinamento, la successiva associazione e una non improbabile futura adesione dell’Ucraina all’Ue.
Questo è sempre stato il vero timore per il Cremlino. Non l’installazione di qualche batteria missilistica Nato o il dispiegamento di qualche battaglione statunitense, ma lo specchio di un potenzialmente avanzato e funzionante sistema liberal-democratico ai propri confini rispetto al quale sarebbero risultati ancora più evidenti i difetti di un sistema, quello russo, al contrario oligarchico, arretrato e dominato da una involuzione autoritaria fuori controllo.
IL FASCINO DELL’UOMO FORTE
Ma tale debolezza politico-culturale ha anche una seconda faccia, altrettanto pericolosa e consolidata. La parabola putiniana, dal 1999 a oggi, è stata accompagnata da un crescendo fatto di elogi (magari a mezza voce) e fascino per l’uomo forte, per la cosiddetta democrazia governante, per quell’ossimoro impronunciabile chiamato democrazia illiberale.
Dal caso Politkovskaja a quello Navalny, passando per le uccisioni mirate di ex spie perpetrate nelle nostre democrazie europee, non si è fatto altro che voltare la faccia dalla parte opposta. Alle richieste sempre più insolenti e illegittime si è risposto con la connivenza e il sostegno politico-ideologico alla Russia putiniana, anche da parte di forze politiche attive nelle nostre democrazie europee, di estrema destra (ma non solo), addirittura con responsabilità di governo (il caso italiano è da questo punto di vista imbarazzante…).
In definitiva una nuova cortina di ferro, questa volta fatta di mistificazione, debolezza intellettuale e pericolosa involuzione democratica, è calata come una cappa di piombo sulle macerie di ciò che resta dell’occidente liberale.
NON NEGOZIABILI I VALORI DEMOCRATICI
Come si diceva in apertura, che fare a questo punto? Impossibile pensare di recuperare il tempo perduto e gli errori commessi con l’ingranaggio bellico oramai in moto. Si deve tentare di salvare il salvabile, di invertire la rotta, di mostrare compattezza e soprattutto di lavorare per una netta inversione di tendenza innanzitutto rispetto ai fondamentali.
Si deve tornare a definire le cose con il proprio nome, riscoprire i valori democratici non negoziabili. E fare tacere i pifferai magici e i maître-à-penser che nel corso di questi anni hanno coperto, con il loro relativismo geopolitico e culturale, il crescendo di aggressività dell’autocrate zarista. Dittatura all’interno e politica di potenza pre-Vestfaliana all’esterno. Questa purtroppo è la Russia dell’ultimo ventennio. Le sirene, che a Kiev hanno svegliato una popolazione impaurita e inerme, avranno anche destato finalmente l’occidente euro-atlantico dal suo colpevole torpore?
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