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Il presidente Usa Joe Biden

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Il rombo dei motori dei carri russi nel Donbas è stato soverchiato da quello del chiacchiericcio mediatico, che ha cercato d’informare le opinioni pubbliche di tutto in mondo su quanto è avvenuto e sulle previsioni di quanto potrà avvenire in Ucraina. Per ora le “forze di pace” russe sembrano aver limitato la loro avanzata nel Donbas ai territori sotto controllo dei separatisti delle due repubbliche secessioniste del Luhansk e del Donetsk, che comprendono all’incirca metà del territorio dell’Oblast.

OBIETTIVI IGNOTI

Il portavoce di Putin ha però precisato che le forze armate di Mosca sono autorizzate a intervenire in tutto il Donbas, per difendere i «fratelli russi» dal genocidio di cui sarebbero minacciati dai nazionalisti ucraini. Per Putin essi non sarebbero tanto “fratelli”, quanto agenti occidentali, protagonisti delle rivoluzioni “arancione” nel 2004 ed “euromaiden” nel 2013, che con veri e propri colpi di Stato avrebbero portato al potere a Kiev gli attuali governi filoccidentali.

Strategicamente chiave nel Donbas, ancora sotto il controllo ucraino, è il porto di Mariupol (città di 500.000 abitanti). Assieme a quello di Odessa rappresenta il nodo centrale del commercio estero ucraino. Quest’ultimo è minacciato dal mare da una flotta comprendente tutte le navi anfibie di Mosca. La conquista dei due porti consentirebbe alla Russia di controllare l’intera Ucraina, senza dover ricorrere a un’invasione terrestre da Est e da Nord, che comporterebbe rischi, costi e perdite elevate.

Sconosciuti sono gli obiettivi di Putin. L’occupazione e, di fatto, l’annessione alla Russia del Donbas, gli consente senza dubbio di tornarsene a casa con qualche successo. Ma gli basterà? Le sue richieste iniziali non riguardavano tanto l’Ucraina, quanto la revisione dell’intera architettura di sicurezza derivata dagli esiti della guerra fredda e dal collasso dell’Urs. Con lo sconfinamento di forze russe in territorio ucraino è improbabile che essa possa essere negoziata (in un precedente articolo ho parlato di un Helsinki 2.0). Gli Usa pretenderebbero il preventivo ritiro dall’Ucraina delle forze russe. È impensabile che Putin lo possa accettare. Molto verosimilmente si creerà nell’Ucraina orientale, una nuova situazione di “guerra congelata”, come quelle dell’Abkazia, dell’Ossezia del Sud e del Nagorno-Karabak, a eccezione che Putin decida di “rilanciare” non tanto con l’occupazione dell’Ucraina, troppo costosa e rischiosa, quanto con un colpo di Stato che porti a Kiev un regime filorusso.

I TRE TEMI CHIAVE

Altri tre argomenti hanno suscitato intensi dibattiti. Primo: il motivo per cui Usa e Uk hanno continuato a gridare al pericolo immanente d’aggressione russa all’Ucraina, producendone date precise che hanno eccitato i telespettatori.

Secondo: le ragioni addotte da Mosca a giustificazione del suo operato.

Terzo: l’opportunità della Ue e degli Usa di adottare sanzioni contro la Russia e la loro efficacia per la soluzione della crisi.

Primo: molti hanno criticato, quando non ridicolizzato, il continuo gridare “al lupo al lupo” dell’imminenza di un attacco da parte di Washington e di Londra. Secondo loro, Biden e Johnson si sono coperti di ridicolo producendo successive date d’inizio dell’attacco. A parer mio, si è trattato invece di una corretta logica strategica, di una win-win strategy. Infatti, se ci fosse stata un’aggressione, Usa e Uk avrebbero potuto dire di aver avuto ragione. Se invece non ci fosse stata, avrebbero potuto sostenere che l’avevano evitata con la loro deterrenza.

L’unico difetto che vedo in tale strategia sta nel fatto che essa potrebbe aver spinto Mosca a temere che fosse imminente un tentativo del rafforzato esercito ucraino di riconquistare le due province secessioniste.

In secondo luogo, il pericolo dello schieramento di missili Usa in Ucraina e l’analogia con la crisi di Cuba del 1962 sono, a parer mio, sciocchezze. Non tengono conto dell’evoluzione della tecnologia degli armamenti, né del fatto che l’equilibrio del terrore non verrebbe modificato dall’ingresso – peraltro del tutto improbabile – dell’accesso dell’Ucraina alla Nato. Le nuove armi iper-veloci e i cruise imbarcati su navi nel Mar nero o nel Mar Baltico possono colpire tutta la Russia europea. Il Nato and Russia Founding Act  – del 1997, uno dei pochi trattati di Arms Control ancora in atto, con regolari ispezioni reciproche – esclude esplicitamente lo schieramento di missili offensivi Nato nei territori dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia.

In terzo luogo, le sanzioni decise dalla Ue, dall’Uk e dagli Usa sono molto soft. Come tali non sono risolutive. I loro effetti si sentiranno solo a lungo termine. È stata adottata al loro riguardo una politica di estrema gradualità. Hanno riguardato taluni oligarchi del “cerchio magico” di Putin, qualche banca e molti uomini politici russi. Quelle hard sono state mantenute in riserva, con funzione di dissuadere la Russia da attacchi su larga scala. Una escalation militare provocherà l’inasprimento delle sanzioni.

LE SANZIONI USA

Il motivo è chiaro. La priorità di Biden è quella di mantenere l’unità dell’Occidente. Le sanzioni hanno un costo per chi vi ricorre. Esso è molto diverso fra Stato e Stato. Non esiste un meccanismo di compensazione per gli Stati su cui grava l’onere maggiore. Una recente valutazione dell’Economist sul costo che hanno avuto le sanzioni decise a carico della Russia dopo l’annessione della Crimea nel 2014, ha concluso che la Germania ne ha ricevuto un danno di circa 23 miliardi di dollari, contro i circa 4 di Francia e Uk, di poco meno di 3 dell’Italia e di meno di 1 degli Usa, che le avevano promosse.

Le nuove eventuali sanzioni, a cui pensano gli Usa, non sarebbero tanto finanziarie, quanto relative alle tecnologie avanzate, indispensabili anche per le produzioni commerciali russe. Anche la Cina non potrebbe fornirle a Mosca. Le sue imprese temerebbero le sanzioni “secondarie” o “extraterritoriali” americane. I critici delle sanzioni e degli embarghi non sanno di che cosa parlano. Per averne un’idea, dovrebbero rivedere la storia del CoCom, in cui veniva coordinato con gli Usa l’embargo delle tecnologie critiche al blocco sovietico.    


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