La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen
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La decisione di Putin di riconoscere le due repubbliche filo-russe del Donbass in Ucraina e di inviarvi un contingente «per il mantenimento della pace» chiarisce il fronte politico Est-Ovest, non quello economico, nonostante siano arrivate le prime sanzioni contro Mosca.
Il fronte politico si dirada perché con la sua mossa Putin sgombera il campo da ogni ambiguità e ipocrisia: viene formalizzato uno stato di cose che esisteva dal 2014. Ma l’aspetto più grave è che nel suo discorso del Cremlino Putin ha detto a chiare lettere che l’Ucraina è Russia, non uno stato indipendente e sovrano.
L’EUROPA NELLE MANI DEL CREMLINO
È chiaro che queste decisioni, accompagnate dalle dichiarazioni del leader del Cremlino, spazzano via i protocolli di Minsk, e anche la via diplomatica per il momento è bloccata. Si devono trovare altre strade per evitare una escalation e una guerra in Europa.
I colloqui bilaterali con i leader europei si sono rivelati un fallimento, se non delle perdite di tempo, perché in questi meeting nessuno voleva perdere la faccia facendo concessioni agli altri. Non siamo tornati ai tempi della guerra fredda, quando era possibile un equilibrio tra i blocchi: il fronte orientale dell’Europa adesso è stato rimesso in movimento come se fossimo all’indomani della seconda guerra mondiale.
Ma in una situazione ancora diversa e forse paradossale: oggi siamo noi europei a finanziarie gli sforzi bellici della Russia per allargare la sua sfera di influenza che era stata ridotta drasticamente dopo la fine dell’Unione Sovietica.
Ma perché siamo ancora nelle mani di Putin? Bisogna tornare al 2014, quando Mosca decise l’annessione della Crimea. Da allora la dipendenza europea dal gas russo è andata aumentando. Putin lo sa perfettamente, tanto è vero che Mosca si è affrettata ad assicurare ai suoi clienti europei, in primo luogo Germania e Italia, le forniture di metano indispensabili al funzionamento delle loro economie.
Ecco perché, nonostante le decisioni su alcune sanzioni prese ieri a Londra e a Bruxelles, nelle capitali del continente si respira una certa aria di imbarazzante disagio. La stessa decisione tedesca di bloccare il gasdotto Nord Stream 2 con la Russia ha un significato più politico che concreto: questa pipeline è stata completata ma non era ancora entrata in funzione.
IL RISCHIO RITORSIONI DOPO LE SANZIONI
L’Europa si è resa sempre più dipendente dal gas russo dopo che la crisi ucraina del 2014 aveva reso chiaro quanto questa condizione generava un’ evidente fragilità. Oggi, dunque, non è difficile intravedere nella prima reazione europea agli sviluppi di queste ore l’esitazione delle principali cancellerie europee di fronte all’escalation.
La strategia del presidente russo Vladimir Putin ha come obiettivo quello di dividere gli europei dagli americani e gli europei al proprio interno sull’intensità delle sanzioni. E l’Unione europea ha ottimi motivi di dividersi sulle sanzioni: soprattutto in Germania e in Italia si temono ritorsioni sulle forniture di gas naturale. Ecco le cifre della dipendenza dal gas russo. Nel 2014 l’Unione europea importava il 30% del proprio fabbisogno di gas naturale dalla Russia – secondo Eurostat – mentre la quota è salita al 35% in anni più recenti.
Nel 2018 il 40% delle importazioni di gas naturale dell’Unione europea da Paesi terzi veniva dalla Russia ma l’incidenza è salita al 43,9% nel 2020 e addirittura al 46,8% nella prima metà del 2021. I dati per l’Italia sono sostanzialmente in linea con quelli medi europei.
L’ERRORE DI FONDO PAGATO A CARO PREZZO
In sintesi, mentre Putin si dimostrava un partner sempre più inaffidabile per ragioni geopolitiche e strategiche, italiani ed europei hanno consegnato nelle sue mani il serbatoio necessario al funzionamento del loro motore economico.
L’Europa e l’Italia adesso stanno pagando il prezzo di questo errore di fondo, aggravato dagli eventi in uscita dalla fase peggiore della pandemia. L’aumento dei consumi e degli investimenti nel 2021 e altri fattori hanno contribuito a un moltiplicarsi per quatto o cinque volte del prezzo del gas naturale in Europa nella seconda metà dell’anno scorso.
In altri termini, la Russia si è potuta trovare nelle condizioni di registrare fatturati più che sufficienti anche tagliando le forniture. E lo ha fatto: i dati di Gazprom, il monopolio pubblico di Mosca, mostrano infatti che in un giorno tipico di dicembre o gennaio, fra il 2017 e il 2019, venivano inseriti nei gasdotti diretti anche all’Italia (via Ucraina, Slovacchia e Austria) circa 240 milioni di metri cubi al giorno.
I quantitativi sono scesi a 100 milioni di metri cubi al giorno nel dicembre scorso e a 53 milioni di metri cubi al giorno in gennaio. Solo lieve poi la risalita delle forniture registrata nel mese di febbraio. Così facendo, Putin ha ottenuto l’effetto di far crescere ancora di più i prezzi del metano e di generare ancora maggiore insicurezza in Europa.
Nel frattempo, noi italiani ed europei continuiamo a spedire in Russia circa 200 milioni di dollari al giorno per il petrolio, di cui Mosca resta il principale fornitore singolo per l’Unione con una quota di mercato di circa il 25%. In sintesi, i soldi europei stanno finanziando lo sforzo bellico russo.
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