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Joe Biden e Vladimir Putin

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LA guerra in Ucraina non c’è, ma quella del gas è già iniziata da un pezzo. Anzi, si può dire che la seconda è certamente più reale della prima e non è cominciata oggi. Sulla crisi Ucraina il bluff è generalizzato. Lo sa Macron – prima a Mosca e ieri a Kiev – lo sa ancora meglio il timido cancelliere tedesco Scholz, tirato per le orecchie a Washington perché esita a scontrarsi con Putin. Il bluff è accompagnato dal sospetto che a minacciare davvero l’Europa non sia Putin quanto Biden, che sulla questione dei rifornimenti energetici da Mosca non ha una posizione diversa da quella di Trump.

LA POSTA IN GIOCO

La posta in gioco è una sorta di guerra del gas. La verità è che gli americani vogliono far saltare il gasdotto Russia-Germania, il Nord Stream 2, dove nel consiglio è entrato anche l’ex cancelliere Schroeder.

La sua caratteristica principale, quella che non piace agli americani, è di bypassare completamente gli Stati Baltici, quelli di Visegrad, l’Ucraina e la Bielorussia, spazzando via così qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi Paesi di fare pressione su Mosca.

Questi Paesi, tranne ovviamente la Bielorussia, sono in gran parte delle pedine manovrate, attraverso la Nato, dagli Stati Uniti Certo, se Putin volesse potrebbe fornire più gas e calmierare i prezzi, ma questo è il punto: non vuole che gli Usa facciano saltare il Nord Stream 2 e quindi tiene in scacco l’Europa che da Mosca importa il 40% del suo fabbisogno. Con la complicità della sprovveduta von der Leyen, presidente della Commissione europea, gli americani vogliono far credere di potere essere loro i fornitori dell’Europa.

Questo è un bluff, dati alla mano, ancora più clamoroso della guerra in Ucraina. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e tra le voci più autorevoli su questo argomento, è sempre stato molto chiaro su questo punto: «I costi di produzione in Russia sono più bassi di almeno 1/3. È assurdo pensare che si scelga di affidare il sistema energetico europeo a importazioni così lontane, con costi di trasporto elevatissimi, tenendo in considerazione anche il dispendio di energia, le perdite di metano, i danni ecologici».

L’ERRORE DA EVITARE

Gli americani hanno più di quanto prevedessero un tempo. Venti anni fa stavano per diventare importatori di gas, poi si sono accorti di aver sbagliato i conti e a quel punto hanno convertito le strutture sull’Atlantico per esportare. Sono pieni di gas e cercano di venderlo ovunque.

Il problema è che è lontano e costa più di quello della Russia che arriva con le pipeline. Il Gnl americano viene estratto e poi liquefatto, quindi deve essere stoccato e poi trasportato sulle navi. Una volta giunto sulla terra ferma finisce nei rigassificatori. Nell’impianto di stoccaggio viene riportato alla forma gassosa ed è pronto per il consumo. Per capire perché il Gnl non è un sostituto del gas che arriva con le pipeline basta guardare i rigassificatori: sono impianti sfruttati poco perché il gas trasportato via nave costa molto di più e ci vorrebbero migliaia di metaniere per sostituire quello di Mosca.

In poche parole, il gas Usa costituirebbe una scelta demenziale, giustificata solo in un caso: lo stato di guerra. In poche parole la ventilata guerra in Ucraina è già diventata una guerra per il gas. Russia e Cina in questa crisi elaborano piani strategici ed energetici per il futuro, mentre noi paghiamo la bolletta.

LE CIFRE E LE ALTERNATIVE

Che non convenga lo dicono le cifre fornite da Nomisma. Il consumo in Europa di gas nel 2020 è stato di 380 miliardi di metri cubi: le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono state di 23 miliardi di metri cubi, mentre quelle dalla Russia hanno toccato quota 145 miliardi. E le stesse proporzioni sono stimate per il biennio 2021-22.

È evidente che le operazioni sul gas americano hanno un carattere più politico che economico: non è in grado, a breve e medio termine, di competere con la Gazprom russa. Ecco, quindi, il bluff. Ci sarebbe poi da riflettere sui fornitori alternativi. Il Tap dell’Azerbaijan (tra gli azionista pure la russa Lukoil) può fornire al massimo 20 miliardi di metri cubi, il Nord Stream 2 almeno 55. Il Greenstream dalla Libia ha una portata teorica di 8 miliardi di metri cubi, ma per colpa del caos libico ci sono continue interruzioni e per questo si è investito poco in un Paese che ha delle grandi risorse.

L’unica nota positiva è costituita dall’Algeria che sta pompando gas più del solito e a gennaio ha addirittura superato per un mese la Russia come maggiore fornitore. Poi ci sarebbe l’Iran, che possiede la seconda riserva al mondo dopo Mosca, ma è sotto sanzioni e guarda sempre di più alla Cina.

ITALIA DEFRAUDATA

E pensare che un tempo l’Italia era uno dei Paesi meglio piazzati per sfruttare le risorse energetiche iraniane. La guerra di Siria negli scorsi anni ha fatto saltare il progetto di portare il suo gas, via Iraq, sulle sponde del Mediterraneo, una pipeline che avrebbe ribaltato i rapporti energetici del Medio Oriente.

Ecco uno dei motivi meno citati circa il perché Bashar Assad, alleato storico di Teheran, sia diventato a un certo punto il “nemico perfetto”. I suoi nemici arabi, turchi e lo stesso Israele, oltre agli Usa, non tolleravano che potesse avere risorse energetiche in proprio e di origine iraniana. Gli Stati Uniti adesso vorrebbero di fatto sanzionare anche il gas della Russia. E questo dopo che ci hanno sottratto la Libia insieme a francesi e inglesi per poi regalarla ai turchi in Tripolitania, ai russi e agli egiziani in Cirenaica.

Senza contare che furono proprio gli Stati Uniti (insieme ad altri europei) a bloccare il progetto italiano di gasdotto South Stream che va dalla Russia alla Turchia fino all’Italia. Se gli americani vogliono venderci il loro gas, più caro di quello russo, dovrebbero regalarcelo per qualche anno, visto i danni che ci hanno provocato in Libia e in Europa.


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