Xi Jinping e Joe Biden
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L’inaspettata dichiarazione congiunta che Stati Uniti e Cina hanno diffuso dalla conferenza sul clima di Glasgow è significativa perché le due più grandi economie del mondo, e anche i due principali produttori di emissioni di gas serra, intendono «lavorare individualmente, insieme e con altri Paesi nel prossimo decisivo decennio». Biden e Xi si incontreranno lunedì, anche se solo virtualmente.
Il timing è assai interessante in quanto da ieri abbiamo un nuovo leader a vita e grande timoniere della Cina, perché Xi Jinping si è fatto elevare dal comitato centrale del Partito comunista cinese allo stesso livello di Mao Zedong.
I FRONTI APERTI
Non dobbiamo però farci troppe illusioni sul clima della Terra ma anche quello della geopolitica mondiale. I duellanti, Usa e Cina, si scambiano colpo su colpo. Mentre cinesi e americani si accordavano a Glasgow, Xi Jinping ha subito lanciato un avvertimento: «I tentativi di tracciare linee ideologiche o formare piccoli circoli su basi geopolitiche sono destinati a fallire – ha detto – La regione Asia-Pacifico non deve ricadere nelle divisioni della Guerra fredda».
Un riferimento quasi esplicito agli accordi tra Usa, Australia, Giappone e India. Immediata, se non contemporanea, la replica degli Stati Uniti. I mutamenti climatici e la Cina rappresentano minacce «equamente importanti» alla sicurezza degli Stati Uniti, ha dichiarato il portavoce del dipartimento della Difesa Usa, John Kirby, aggiungendo che Pechino è la tra le sfide più pressanti del dipartimento alla Difesa.
In realtà l’attuale guerra fredda ha diversi fronti, oltre a quello cinese, come il tradizionale quadrante dell’Est Europa dove la crisi dei profughi ai confini tra Bielorussia e Polonia annuncia probabilmente nuovi sviluppi nel progetto di Unione tra Mosca e Minsk di cui si parla da tempo, con effetti evidenti sia per la Polonia che per i Paesi baltici e l’Ucraina. Gli avversari dell’Occidente, spiace notarlo, hanno comunque una strategia, l’Unione europea e la Nato non tanto.
Il Comitato centrale del Pc cinese ha votato un documento che la dice lunga sulla Cina di oggi e su quella che potrebbe essere in un prossimo futuro. La Cina è ossessionata dalla storia, fin dai tempi delle dinastie imperiali. Ora il partito-Stato ha deciso di riscriverne la storia: questo era il mandato affidato al Plenum del Comitato centrale comunista, circa 370 dirigenti, per varare una “Risoluzione sui grandi risultati e l’esperienza del comunismo cinese nei suoi primi cento anni”.
LA REVISIONE STORICA CINESE
L’obiettivo di questo documento è evidente: ispirato da questa revisione storica, nel novembre 2022 il ventesimo Congresso del partito rieleggerà il segretario generale Xi Jinping per un altro lustro. È la terza volta che il Partito comunista cinese rivisita il suo passato per determinarne il futuro. Nel 1945, Mao Zedong fece regolare «certe questioni nella storia del nostro partito», chiudendo a proprio favore le rivalità anche ideologiche con i compagni della Lunga Marcia verso il potere.
Nel 1981 Deng Xiaoping ispirò una seconda “Risoluzione sulla Storia del Partito”, che segnalò «alcuni problemi» come «il caos della Rivoluzione culturale», affermando che Mao «aveva avuto ragione nel 70% dei casi e torto nel 30»: così il nuovo leader mise a tacere i maoisti puri e duri e aprì la Cina all’economia di mercato.
Adesso tocca a Xi Jinping, che è segretario generale dal novembre del 2012 e vuole restare al timone per altri cinque anni almeno. Il documento sulla storia serve a dimostrare che il lavoro da compiere è ancora così gravoso da imporre una continuità di comando supremo. Non ci sono più “questioni” e conti da saldare con il passato, come ai tempi di Mao e Deng. Non c’è da aspettarsi che, per esempio, Xi riapra il capitolo di Piazza Tienanmen. E poi, ha già fatto passare delle formidabili leggi penali che mandano in carcere per «nichilismo storico» chi mette in dubbio la linea ufficiale del partito o l’eroismo dei suoi martiri. Insomma, anche la storia viene ammanettata. Questa terza Risoluzione sui cent’anni di imprese comuniste non è altro che l’apertura della nuova era dove c’è una guida unica, ovvero Xi Jinping.
Il comitato centrale del Pc ha già indicato il prossimo obiettivo: un «socialismo moderno» entro il 2035 e finalmente la costruzione di «un Paese socialista grande, prospero, rinnovato, armonioso e bello» entro il 2049, primo centenario della Repubblica popolare. È un impegno arduo: «Non sarà una passeggiata nel parco» ha detto Xi, che oggi ha 68 anni e nel 2049 ne avrebbe 96. Ma i leader cinesi sono assai longevi.
LE SPINE DI PECHINO
Ma anche a Pechino non sono tutte rose e fiori. C’è la pandemia che minaccia ancora la Cina, nonostante la rigida politica “Zero Covid” che impone lockdown appena si individua un focolaio e ha chiuso il Paese da quasi due anni; c’è il nuovo modello economico che promette «prosperità comune» per tutti i cinesi e nuovo ordine in un «capitalismo cresciuto caoticamente», ma intanto ha causato un rallentamento nella corsa del Pil e bruciato centinaia di miliardi in Borsa; c’è lo scontro da nuova guerra fredda con gli Stati Uniti; il giuramento di riprendere Taiwan.
I continui arresti di dirigenti, dietro la motivazione della lotta alla corruzione, fanno immaginare anche trame interne: due ex capi della sicurezza nazionale arrestati il mese scorso sono accusati di aver cercato di «costituire centri di potere e cricche».
«Mi batterò per il comunismo per il resto della mia vita»: ha ricordato Xi Jinping, un giuramento di fedeltà che nel suo caso è anche un programma di leadership a vita.
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