La foto di famiglia del G20 di Roma
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Un vertice dimezzato? Il G-20 che si apre oggi a Roma non è neppure una delle migliori photo opportunity che di solito caratterizzavano questo summit prima della pandemia: mancano Putin e Xi Jinping, il premier giapponese Kishida, il re saudita Salman mentre partecipa il brasiliano Bolsonaro di cui si faceva anche volentieri a meno, viste le stragi da Covid generate nel suo Paese dalla sua incompetenza e ignoranza.
Un paradosso la sua presenza, visto che uno dei temi principali, oltre al clima in vista della conferenza di Glasgow di lunedi, è proprio la pandemia da Covid-19.
IL NODO VACCINI
E qui già casca l’asino del G-20. L’Italia si è detta orgogliosa del summit organizzato lo scorso maggio, che ha portato alla promessa dei Paesi più ricchi di centinaia di milioni di dosi di vaccino per i più poveri. Il G-20 – che nel 1999 nasce come Forum economico e finanziario – ha portato all’impegno di vaccinare almeno il 40% della popolazione mondiale entro il 2021, la condizione minima per una ripresa economica e degli scambi su base globale.
Ma è anche vero che i 20 Paesi membri hanno ricevuto un numero di dosi pro capite 15 volte maggiore rispetto ai Paesi dell’Africa sub-sahariana e che, nell’ambito dell’iniziativa Covax promossa dall’Onu, solo 194 milioni di dosi sono state date dai Paesi ad alto reddito su 1,3 miliardi di dosi promesse.
Come denuncia la sezione africana dell’Oms «solo 5 Paesi raggiungeranno l’obiettivo fissato per fine anno, cioè la vaccinazione completa del 40% della popolazione». Secondo l’agenzia, in Africa mancano persino le siringhe per le vaccinazioni: «Il mercato è diventato estremamente competitivo. Le scorte di dispositivi sono insufficienti e rimarranno tali almeno fino al primo trimestre 2022».
Al G-20 ci sono divergenze anche sui brevetti. India e Sudafrica continuano a premere sulla sospensione dei brevetti sui vaccini contro il Covid-19 e intendono portare, a fine novembre, la questione sul tavolo della World Trade Organization, nonostante le decise resistenze del blocco G-7. Molti esperti, inoltre, premono perché il G20 sia più incisivo, istituendo un meccanismo per prepararsi a future pandemie.
LA GRANDE BALLA
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, parlando da Bruxelles prima di partire per il vertice di Roma, finge che stia andando tutto bene: «La Ue ha esportato, in undici mesi, 1,2 miliardi di dosi di vaccini verso oltre 150 Paesi» ha detto in conferenza stampa. Non si riferisce agli aiuti umanitari, ma alle dosi vendute a prezzi di mercato dalle aziende farmaceutiche che hanno impianti in Europa.
Dal punto di vista della cooperazione, le cose stanno diversamente. A Roma, l’Unione aveva promesso 100 milioni di dosi entro la fine del 2021 per i Paesi poveri attraverso il programma Covax dell’Oms e di diverse fondazioni filantropiche. L’impegno era stato raddoppiato in luglio, arrivando a 200 milioni di dosi. Eppure, la Ue non ha mantenuto nemmeno questo impegno: i 27 hanno spedito nei Paesi poveri attraverso Covax solo 60 milioni di dosi, il 30% di quanto promesso.
La nostra è anche una carità un po’ pelosa. I paesi dell’Unione europea dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson sostanzialmente non sanno più che farsene, perché ritenuti insicuri e inefficaci, e li stanno regalando all’estero. Nelle donazioni annunciate, per esempio, von der Leyen include probabilmente la fornitura di 200 milioni di dosi che AstraZeneca si è impegnata a consegnare entro marzo 2022. Regaleremo i nostri scarti ai Paesi che non possono permettersi di rifiutare.
L’ASSENZA CINESE
La buona notizia arriva però dalla farmaceutica Merck. La sua pillola antivirale molnupiravir, sotto esame dall’agenzia del farmaco Usa, potrebbe diventare il primo farmaco efficace contro il Covid. L’azienda ha annunciato di aver condiviso il brevetto con le Nazioni unite che mette a disposizione senza royalty i brevetti a favore dei Paesi a basso reddito. Le aziende locali potranno così “copiare” il farmaco a costi molto inferiori rispetto a quelli imposti nei Paesi ricchi.
Ma andiamo nel concreto delle questioni politiche. Dopo l’incontro di Biden con il Papa, Mattarella e Draghi non ci aspettiamo molto altro, vista l’assenza dei pesi massimi Putin e Xi Jinping. Con una Cina che minaccia continuamente di volersi annettere Taiwan, l’assenza del leader cinese è assai significativa. Non ci sarà qui a Roma neppure l’atteso incontro, sempre rinviato, tra Biden ed Erdogan, ma il leader turco incontrerà Draghi.
Un faccia a faccia sulla questione libica e il Mediterraneo di notevole importanza, dato anche il precedente in cui il presidente del Consiglio aveva definito il leader turco un «dittatore». Poi si erano chiariti ma il dialogo con Ankara rimane sempre scottante e investe anche l’estrazione di gas offshore nel Mediterraneo orientale.
L’OMBRA TURCA
Resterà sullo sfondo la crisi degli ambasciatori esplosa la scorsa settimana, quando Erdogan aveva minacciato di espellere i rappresentanti di una decina di Paesi tra cui Usa, Francia e Germania perché avevano firmato una lettera che chiedeva la scarcerazione del dissidente Osman Kavala. Poi gli Usa avevano fatto retromarcia ed Erdogan aveva sospeso il provvedimento.
Ma, al di là di questa vicenda, è sempre più chiaro che la Turchia, membro storico della Nato, non ha nessuna intenzione di rispettare l’agenda dell’Alleanza Atlantica: Ankara ha infatti confermato l’acquisto dalla Russia delle batterie di missili S400, un’intesa con Putin per costruire armamenti sul territorio turco, dove nella base di Incirlik ci sono le testate atomiche americane. E scusate se è poco.
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