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Pedro Castillo

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In un continente dove tutte le formule politiche falliscono, in Perù ha vinto le elezioni un comunista. Pedro Castillo, superando Keiko Fujimori, che grida ai brogli, ha avuto uno straripante successo nelle regioni più isolate, quelle lontane dalla città, escluse dal potere.

Quelle zone marginali del Paese che hanno pagato il prezzo più alto nella pandemia, per i contagi, i morti, il lavoro informale scomparso con i lockdown e le strade deserte.

Sconosciuto maestro di scuola fino a qualche mese fa, Pedro Castillo, leader del partito filo-castrista Perù Libre, ieri era in testa negli scrutini, pur se con un margine risicato: 50,2% contro il 49,8% della candidata del partito conservatore Fuerza Popular, Keiko Fujimori, figlia di Alberto, l’ex capo di Stato peruviano pluricondannato per crimini contro l’umanità e corruzione.

ACCUSE E AGGRESSIONI

I voti delle campagne e delle zone remote della foresta amazzonica, favorevoli al candidato che rivendica le sue origini provinciali, gli hanno permesso di superare la figlia di Fujimori, che ha denunciato «irregolarità» e «segnali di truffa».

«C’è una chiara intenzione di sabotare la volontà del popolo», ha detto la Fujimori durante una conferenza stampa, con foto e video a sostegno, inclusa l’immagine dei risultati in un piccolo villaggio che ha dato il suo avversario vittorioso per 187 voti a zero. Ma la missione di osservazione dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) non ha individuato incidenti di rilievo. «Il conteggio delle schede – ha detto – è avvenuto secondo le procedure ufficiali».

Anche se erano in molti a dubitare che tutto andasse secondo le regole, tanto più che erano stati gli stessi osservatori internazionali a esprimere preoccupazione per il trattamento diseguale riservato dai mezzi di comunicazione nazionali alle campagne dei due candidati.

E anche l’aggressione, all’uscita del seggio in cui si era recata a votare, contro Dina Boluarte, candidata alla prima vicepresidenza per Perú libre, era apparso un pessimo segnale: dopo essersi fermata a conversare con i giornalisti, esprimendo la sua speranza di cambiamento e ringraziando il popolo peruviano per il calore espresso durante la campagna elettorale, la candidata era stata inseguita dai simpatizzanti esagitati del fujimorismo fino alla porta di casa, in mezzo a pesanti insulti.

GLI INCUBI DEI RICCHI LE SPERANZE DEI POVERI

In realtà la Fujimori non ha presentato prove credibili di brogli, piuttosto punta a tenere alta la tensione nel Paese scatenando le paure della classe media e ricca.

 «Con il maestro elementare e leader sindacale Pedro Castillo può accadere di tutto», dicono i sostenitori della Fujimori. Molti si vedono case e negozi requisiti, affari sfumati, investimenti dispersi. E poi l’incubo della nazionalizzazione dei poli energetici e minerari, la fuga delle multinazionali. Perfino il cambio della Costituzione che poi, senza maggioranza in Parlamento, non si sa bene come riuscirà a fare lo stesso Castillo.

Ma il successo di Castillo si spiega soprattutto con il fallimento delle formule di governo precedenti in un Paese che ancora risente delle ferite lasciate dalla dittatura militare di Velasco Alvarado con la sua traumatica riforma agraria e la dura repressione di ogni dissenso.

Il Covid in America Latina sta spianando la strada al ritorno al potere della sinistra. A meno di colpi di scena, c’è finalmente un motivo per fare festa in un Paese in cui oltre il 20% dei bambini e degli adolescenti è costretto a lavorare; 2,7 milioni di abitanti, su una popolazione di 32,5 milioni di persone, sono analfabeti (per l’84% donne); il 60% della popolazione non ha accesso a Internet; il 40% non dispone nemmeno di un frigorifero e il 30,1% della popolazione si trova al di sotto della soglia della povertà, con un incremento del 9.9% rispetto al 2019.

LA MAZZATA DEL COVID

Questi dati terrificanti sulla povertà del Perù sono stati aggravati dall’impatto della pandemia sul Paese, il quale figura al primo posto al mondo per numero di morti (5.484) ogni milione di abitanti, per un totale di oltre 180mila vittime. Un record riconducibile a un sistema sanitario impreparato e senza fondi sufficienti, al numero limitato di letti in terapia intensiva, a una campagna di vaccinazione molto lenta. Ma anche all’assenza di alternative da parte della classe lavoratrice, la quale, impegnata al 70% nell’economia informale – una delle percentuali più alte di tutta l’America latina – ha preferito esporsi al rischio di contagio che restare a casa a morire di fame.

Per tutti loro, la speranza adesso si chiama Pedro Castillo, il candidato venuto dal popolo con una promessa nuova: «Mai più poveri in un Paese ricco».


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