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Dalla Spagna arriva un voto in controtendenza in Europa ma anche un successo delle forze anti-lockdown. E non è semplicemente questo: si tratta di una battaglia ideologica in corso qui e forse presto anche altrove. Un segnale da non trascurare sia a Bruxelles che in Italia dove il fronte politico – oltre la prospettiva tangibile dell’attuale governo – appare in molti settori dello schieramento più friabile e confuso che mai.

Il risultato delle regionali di Madrid non è stata comunque una sorpresa. La novità è un’altra. Madrid va a destra- come succede ormai da 26 anni – ma questa volta è una destra con un’impronta populista, che rischia di essere pesantemente condizionata dall’estremismo vetero-fascista di Vox che però cattura anche i giovani.

Vince la sua scommessa la presidente regionale Isabel Díaz Ayuso, figura atipica nel Partito Popolare, che due mesi fa aveva chiamato al voto anticipato non solo per sbarazzarsi di Ciudadanos, alleato troppo moderato (scomparso dalla scena: da 26 seggi a zero), ma anche per mandare un segnale inequivocabile al governo dei socialisti.

La Ayuso si è aggiudicata con questa vittoria un ruolo da protagonista come “alternativa liberale” alla politica anti virus europea. Si tratta di una battaglia ideologica, come rileva Andrea Nicastro sul Corriere della Sera, autore tra l’altro di un ottimo libro appena uscito “Gli Altri siamo noi- Perché tradire la democrazia scatena il Jihad”. La governatrice della Comunidad della capitale spagnola, l’equivalente della nostra regione, si è guadagnata il ruolo con un clamoroso “no” alle chiusure sanitarie imposte dal governo centrale spagnolo.

La Ayuso della destra popolare (Pp) e il premier Pedro Sánchez del centro-sinistra (Psoe) hanno ingaggiato un duello che si è subito trasformato in una sfida simbolico-politica, non più sulle ragioni sanitarie, sul senso di chiudere le attività produttive, distanziare le persone, limitare la circolazione del virus, ma sulle motivazioni ideologiche di quelle scelte.

Nel suo modo di comunicare, la Ayuso ha tradotto la chiusura di un bar come l’ingerenza dello stato nella proprietà privata. Il distanziamento sociale come un attacco alla libertà individuale. La campagna elettorale che ha permesso alla governatrice Ayuso di raddoppiare voti e seggi la lotta al Covid è diventata la sfida tra “comunismo e libertà”.

Ora il comunismo non c’è più quasi da nessuna parte ma l’armamentario ideologico da guerra fredda funziona ancora benissimo, anche in questa Europa dove, a causa della pandemia, si è avviato il più grande intervento pubblico e statalista della storia recente del continente. Con una pervasività che forse neppure il più filo-statalista dei comunisti europei neppure poteva immaginare negli anni Settanta.

Quello che interessa di quanto accaduto in Spagna è la narrativa della crisi pandemica. Come sottolinea Nicastro “la favola facile da comunicare dice che il governo centrale (centro-sinistra) ha reagito al virus con un istinto vetero dirigista: chiude i bar perché non si fida degli individui così come aumenta le tasse perché non si fida degli imprenditori e centralizza l’economia. L’amministrazione regionale della Ayuso, invece, si è fatta portabandiera del liberismo individualista: ha lasciato i caffé aperti, come lascia i soldi nelle tasche dei cittadini perché crede nell’iniziativa privata, nella libertà. Ed ecco che il gioco è fatto.

Dalla sua la presidente della Comunidad di Madrid ha anche le cifre che parlano a suo favore tranne una: il numero altissimo dei morti. Il risultato della sfida in nome della “libertà” si riassume in tre dati statistici. Più 1% di Pil nella Comunidad di Madrid rispetto alla media nazionale; più 35% di mortalità; 44% di voti alle elezioni regionali.

Festeggiando la vittoria (prima del coprifuoco) dal balcone di calle Genova, la sede del Pp, il leader nazionale Pablo Casado ha potuto dire che “oggi la libertà ha vinto a Madrid, domani vincerà in tutta la Spagna”. Il premier socialista Pedro Sánchez è avvertito.


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