Idriss Déby con il presidente francese Emmanuel Macron
INDICE DEI CONTENUTI
Era il gendarme dei francesi in Africa. La morte del presidente del Ciad Idriss Déby per le ferite riportate in battaglia costituisce un colpo fatale per la Francia che da 30 anni contava su questo leader per le operazioni militari nell’Africa del Sahel: da poco il Ciad aveva inviato 1.200 uomini a combattere i jihadisti in Mali. Il Ciad sta affrontando la ribellione del Fronte per l’Alternativa e la Concordia, gruppo di guerriglia dei Tebu alleata con le milizie libiche filo-Haftar ed è uno degli Stati del G-5 capeggiato dalla Francia che vorrebbe ridurre il suo contingente militare di oltre cinquemila soldati.
L’ASSALTO MORTALE
La fine drammatica di Déby è un segnale di allarme per la stabilità del Ciad, del Sahel e anche della Libia da dove provengono i gruppi ribelli: con la fine di Gheddafi i confini dell’ex colonia italiana sono sprofondati di mille chilometri nella sabbia del Sahara e ormai da un decennio non c’è assolutamente un controllo delle frontiere percorse da tribù, movimenti armati e jihadisti.
La morte di Déby, quindi, interessa anche l’Italia, sia per la questione libica che per la presenza di un nostro contingente militare in Niger. La svolta in Ciad è arrivata ieri poche ore dopo l’annuncio della vittoria di Déby, con il 79,3%, alle elezioni nazionali dell’11 aprile, che gli avrebbe garantito un ampio margine per un sesto mandato.
Il presidente del Ciad avrebbe dovuto tenere un discorso di vittoria dopo aver ricevuto i risultati provvisori, il 19 aprile, ma ha invece scelto di visitare i soldati ciadiani in prima linea, secondo quanto avrebbe riferito il direttore della campagna elettorale, Mahamat Zen Bada. Secondo il portavoce dell’esercito, il generale Azem Bemrandoua Agouna, le forze armate nazionali si sono scontrate con una colonna di ribelli che stava avanzando verso la capitale, NDjamena. I soldati sarebbero stati attaccati dai ribelli mentre il presidente si trovava sul fronte. In un’intervista a Radio-France Internationale, Mahamat Mahadi Ali, il leader dei ribelli, Déby ha assistito alle battaglie di domenica 18 e lunedì 19 aprile, nella regione centro-occidentale del Paese, nei pressi di Nokou a Kanem. Secondo quanto riferito, Déby è stato ferito sul campo di battaglia il 19 aprile, ed è stato poi trasportato nella capitale, a 400 km di distanza, in elicottero.
Per ora la situazione è incerta, i media africani hanno reso noto che la costituzione è stata sospesa e che subentrerà un Consiglio militare, sotto la guida del generale Mahamat Kaka, altrimenti noto come Mahamat Idriss Déby Itno, figlio di Idriss. Il governo temporaneo dovrebbe rimanere al potere per 18 mesi.
L’ASCESA AL POTERE
Figlio di un allevatore del gruppo etnico Zaghawa, Déby era legato a doppio filo alla Francia dove aveva completato il suo addestramento. Nel 1976 era tornato in Ciad affiancando Hissène Habré, uno dei principali signori della guerra del Paese, che lo aveva nominato comandante in capo dell’esercito, ruolo nel quale si distinse sconfiggendo le forze filo-libiche nella parte orientale del Ciad. Ma nel 1985 fu rimosso dall’incarico e inviato a Parigi per seguire i corsi della École de Guerre. Due anni più tardi, guidò nuovamente l’esercito contro le truppe libiche nel Ciad orientale guidate dal generale Khalifa Haftar e ottenendo notevoli successi sul campo.
Nel 1989 entrò in rotta di collisione con Habré e riparò in Sudan dove fondò il Movimento Patriottico di Salvezza, gruppo armato di insorti che, grazie al supporto di Libia e Sudan, attaccò le forze regolari di Habré nell’ottobre del 1989. Un anno più tardi, il 10 novembre 1990, le truppe di Déby sferrarono l’attacco decisivo, che le condusse, pochi giorni dopo (2 dicembre) a entrare nella capitale N’Djamena senza incontrare resistenza.
Déby, 68 anni, vinse le elezioni nel 1996 e di nuovo nel 2001 prima di proporre un cambiamento costituzionale nel 2018 che gli avrebbe permesso di rimanere al potere fino al 2033. Per mantenere un saldo controllo del Paese, il presidente ha sempre fatto affidamento su una buona tenuta delle istituzioni statali e sulla fedeltà dell’esercito. Tuttavia, il malcontento popolare nei suoi confronti è cresciuto negli ultimi anni e, il 6 febbraio, centinaia di persone erano scese in piazza per protestare contro la decisione di Déby di candidarsi per il suo sesto mandato. L’opposizione e gruppi armati come il Front for Change and Concord in Chad hanno supportato le piazze e denunciato l’autoritarismo del presidente.
Il Front pour l’Alternance et la Concorde au Tchad (Fact) è un’organizzazione politico-militare ciadiana formata da militanti che fanno prevalentemente parte dell’etnia nomade Tebu, altrimenti nota come Dazaga o Gouran, che ha sempre avuto un ruolo politico rilevante in Ciad. Per esempio, l’ex presidente Hissene Habré era un Tebu. Il Fact, fondato nel 2016 da Mahamat Mahdi Ali, non è un’organizzazione jihadista e il fondatore del Fronte, oltre a essere un esponente della comunità Tebu, ha vissuto in Francia, a Reims, dove ha militato nel partito socialista.
LE ROCCAFORTI DEL FACT
Il gruppo si è stabilito in Libia, nella regione desertica meridionale del Fezzan dove avrebbe collaborato con la Terza Forza, una potente brigata libica di Misurata dispiegata nel Sud del Paese. Secondo altri analisti locali, l’organizzazione avrebbe anche sostenuto l’Esercito di Liberazione Nazionale Libico guidato dal generale Khalifa Haftar.
Il Fronte, che conta tra i 700 e i 1.500 combattenti, avrebbe una base in Ciad, a Tanoua, e tre in Libia, a Jebel Saouda, vicino al confine con il Ciad, Al Jufrah, dove si trovano i mercenari russi della Wagner, e Doulaki vicino a Sebha. La fine di Idriss Déby lascia un vuoto di potere e apre una crisi nel cuore del Sahel: un problema per la Francia ma anche per la comunità internazionale.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA