X
<
>

Un militare italiano (foto Ansa)

Share
4 minuti per la lettura

Con il ritiro dall’Afghanistan cade il velo dell’ipocrisia, per gli Usa ma anche per noi. Vent’anni dopo gli Stati Uniti, in coincidenza con l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre, si ritireranno dall’Afghanistan con una sola certezza: il “cimitero degli imperi”, che già liquidò inglesi sovietici ha fatto fuori anche loro. I talebani sono ormai dei partner con cui trattare.

È inutile girarci intorno: forse anche di questo potrebbero parlare Biden e Putin se verrà confermato un vertice tra i due per evitare nuove e pesanti tensioni da guerra fredda come in Ucraina. Mentre affrontavano l’attacco americano vent’anni fa i talebani mi dicevano: “Voi possedete l’orologio, noi abbiamo il tempo”. Ed è accaduto esattamente questo.

L’Afghanistan riguarda ovviamente anche noi, pure se facciamo finta di nulla sprofondando nella solita retorica. Riporteremo a casa i nostri 900 soldati di stanza tra Herat e Kabul, la solita inutile missione sotto capello Nato – in cui sono morti tragicamente una sessantina di soldati – con cui il nostro Paese tenta vanamente di procurarsi una credibilità e un sostegno internazionali che vengono regolarmente disattesi.

ERA MEGLIO TRIPOLI

Il nostro contingente avrebbe più utilmente essere impiegato sulle coste libiche dove nel 2019 il governo di Tripoli di Sarraj, da noi insediato, era sotto attacco del generale Khalifa Haftar e dei suoi alleati, dai mercenari russi all’Egitto, agli Emirati. Allora rifiutammo, insieme a inglesi e americani, di dare appoggio militare a Tripoli con il risultato che i libici si rivolsero a Erdogan, che è da tempo il padrone della Tripolitania e di cui siamo ospiti. Erdogan ce lo ricorda ogni momento: pochi giorni fa ha convocato ad Ankara il premier libico e 14 suoi ministri per fargli firmare nuovi accordi che consegnano la Tripolitania ai turchi. Questo appena qualche giorno dopo la visita di Draghi a Tripoli.

Il ragionamento è semplice e brutale: invece di far ammazzare i nostri soldati dai talebani forse era meglio aiutare gli alleati in Libia, sotto a casa nostra, dove ci sono interessi economici ed energetici di primo piano. La verità è che preferiamo sempre scegliere vie traverse: ovvero compiacere gli Stati Uniti e gli alleati della Nato nella speranza che poi ci diano una mano, ovvero che siano loro a intervenire a difendere i nostri interessi. Si tratta come al solito di una pia illusione e anche di un atteggiamento ipocrita.

Preferiamo che i nostri soldati muoiano lontano dai nostri occhi per non dovere affrontare alla radice i problemi di politica estera e di sicurezza sotto casa nostra. E’ un atteggiamento infantile, certificato dai nostri esimi editorialisti, che si esaltano perché il premier Draghi ha chiamato Erdogan un “dittatore” ma si dimenticano di scrivere che se la Turchia è diventata padrona in Tripolitania la colpa prima di tutto è nostra e della nostra insipienza. La sovranità, di cui molti parlano a sproposito, non viene regalata ma conquistata e confermata dai fatti, non dalle parole.

DELEGARE AD ALTRI

Purtroppo anche l’ultimo viaggio del ministro degli esteri Di Maio ribadisce questa tendenza a delegare ad altri le proprie responsabilità: il ministro afferma che il sottosegretario di stato Antony Blinken ci ha assicurato che “la voce e la leadership dell’Italia sono cruciali in dossier condivisi, dalla Libia alla pandemia, dall’Afghanistan alla crisi climatica”. Ci mancava poco che Blinken estraesse dal cilindro la famosa “cabina di regia per l’Italia in Libia”, una frase che hanno già sentito e si sono bevuti in questi anni i governi Renzi, Gentiloni e Conte Uno e Due, sia con l’amministrazione di Obama che di Trump. Ovvero una balla clamorosa: gli Usa non hanno mai avuto intenzione e mai l’avranno di assegnare all’Italia una leadership in Libia proprio perché l’Italia non ha nessuna capacità di assumersi questa responsabilità.

Erdogan, che ieri per la prima volta ha replicato direttamente al presidente del Consiglio, è dittatore ma ci fa “comodo”, come ammette anche Draghi, ed è molto più utile agli Usa dell’Italia. Se la Turchia non avesse inviato truppe e miliziani jihadisti in Libia, insieme a squadriglie di droni, Haftar e i suoi alleati, tra cui i mercenari russi, si sarebbero impadroniti di Tripoli. Erdogan è servito agli americani per contenere la Russia in Siria e anche nel Caucaso: a che cosa serve l’Italia? A poco e niente, se non a infoltire contingenti militari in remote parti del mondo dove non abbiamo che interessi assai relativi. Dobbiamo invece cercare di guardare in faccia la realtà e chiederci che cosa serve avere forze armate e aeree che non vengono impiegate neppure per fermare le truppe, certamente non troppo scelte e assai raccogliticce, del generale Haftar.

Dire che l’Italia per la sua Costituzione rifiuta la guerra è un comodo paravento: l’Italia ha bombardato negli ultimi 30 anni un po’ ovunque, dall’Iraq nel ’91 a Belgrado nel ’99 per poi colpire con raid aerei nel 2011 persino Gheddafi, il suo maggiore alleato nel Mediterraneo che sei mesi prima riceveva a Roma in pompa magna. Insomma quando ce l’hanno chiesto gli americani abbiamo bombardato eccome. O forse pensiamo che quando lo facciamo per la Nato e Washington le nostre bombe siano innocue caramelle?


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE