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Il “sofà-gate” di Ankara: von der Leyen sul divano, Michel e Erdogan sulle sedie ufficiali sotto le bandiere

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«Sono dispiaciutissimo per l’umiliazione inflitta alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Erdogan è un dittatore, di cui però si ha bisogno» Il presidente del consiglio Mario Draghi è molto netto nel condannare il “sofà-gate” di Ankara. ma la pantomima di poltrone e sofà sta oscurando il vero problema. La Turchia non ha nessuna intenzione di cedere su almeno quattro dossier: i profughi, le frontiere marittime del Mediterraneo orientale, la Libia e i diritti umani.

Il tutto è funzionale a uno scopo: mostrare che l’Unione europea è ostile agli interessi della Turchia e che è una delle cause della crisi economica spaventosa che sta attraversando il Paese. Un crisi dovuta alla politica economica spericolata di Erdogan che coinvolge l’Europa in pieno visto che il 50% del commercio estero di Ankara è con l’Unione, così come sono europei una buona parte dei prestiti in sofferenza alle imprese e ai soggetti turchi.

La storia della sedia della presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen e del belga Charles Michel, capo assai inadeguato del Consiglio europeo, è uno degli scherzetti che ama giocare Erdogan ai suoi ospiti più sprovveduti, che ovviamente ci sono cascati in pieno. Erdogan, che tiene in galera migliaia di persone, gli oppositori politici e nega i diritti umani e quelli delle donne, vuol far capire che a casa sua fa quello che vuole. Ma ha una nozione di casa parecchio “allargata”, che si estende a buona parte del Mediterraneo.

L’Unione europea come è noto paga profumatamente Erdogan (sei miliardi di euro) per tenersi in casa oltre tre milioni di profughi siriani e di altre nazionalità ma non ha nessuna intenzione di rinunciare all’arma dei rifugiati per tenere sotto pressione Bruxelles sulla rotta dell’Egeo e dei Balcani, valvola di sfogo tanto temuta dalla Germania della cancelliera Merkel ormai sul viale di un rapido tramonto visto che si ritirerà con le elezioni politiche di settembre. Quindi il “reis” turco continuerà a dare rassicurazioni a parole, a incassare i quattrini europei ma anche a fare quello che vuole nel momento in cui i suoi interessi e quelli di Ankara venissero minacciati.

Le frontiere marittime sono un altro contenzioso bollente. La Turchia non accetta le frontiere marittime internazionali e più volte ha inviato in maniera provocatoria le sue navi da esplorazione nelle acque ritenute da Grecia e Cipro “zone esclusive di sfruttamento”. In queste zone offshore operano i francesi con la Total, l’Eni italiana e anche le società americane. Per difendere lo stato attuale delle cose si è formata una coalizione capeggiata dalla Francia con Grecia, Cipro, Israele ed Egitto che intende contrastare le ambizioni della Turchia. In queste acque dovrebbe passare il gasdotto verso l’Europa con le risorse energetiche del Mediterraneo orientale che renderebbe meno decisive le pipeline che trasportano il gas russo in Turchia e nei Balcani. L’Europa ha sanzionato la Turchia ma si tratta di misure cosmetiche perché la Germania intende trattare con Ankara in quanto teme il ricatto sui profughi. Anche l’Italia è possibilista ma per un’altra ragione: in Tripolitania la Turchia è la potenza militare dominante, sono stati i turchi a salvare la capitale dall’assedio di Haftar e gli italiani dipendono per la loro sicurezza dalle milizie turche e filo-turche. Anche l’ambasciata italiana visitata l’altro giorno dal premier Draghi.

Erdogan ci ricatta su quasi tutto perché siamo fessi e codardi. Nel novembre del 2019, con il generale Khalifa Haftar alle porte di Tripoli, il governo libico chiese aiuto militare a Italia, Usa e Gran Bretagna per fermarlo: era una questione di vita o di morte. Noi questo aiuto lo abbiamo rifiutato e i libici si sono rivolti a Erdogan per contrastare il generale Khalifa Haftar sostenuto dai mercenari russi, dagli Emirati e dall’Egitto. Quindi la Turchia ha mandato uomini, droni e persino le milizie jihadiste reclutate in Siria riportando una netta vittoria militare. Che ci piacciano o meno le cose stanno così e le chiacchiere della nostra diplomazia e dei nostri governi stanno a zero. Questo è il secondo grave errore che abbiamo commesso in Libia in un decennio, il primo fu quello di bombardare Gheddafi nel 2011: allora sì avremmo dovuto restare neutrali visto che lo avevamo ricevuto in pompa magna soltanto sei mesi prima a Roma firmando oltre ad accordi economici intese sulla reciproca sicurezza. Insomma un’alleanza in piena regola e votata dal 90% del Parlamento.

Che cosa succede adesso? Gli Stati Uniti hanno aperto un nuovo fronte di guerra fredda con la Russia anche in Libia dove Mosca potrebbe insediare una base militare in Cirenaica. Quindi gli Usa hanno chiesto ai leader europei di darsi da fare per sostenere il governo di Tripoli: è questo il vero motivo geopolitico per cui l’atlantista Draghi, su richiesta e con il pieno appoggio di Washington, è andato in Libia dove ha incontrato tra l’altro il premier greco Mitsotakis. In un solo giorno a Tripoli c’erano due primi ministri europei: un messaggio chiaro rivolto a Mosca ma anche a Erdogan che è l’uomo forte della situazione. Anche la Turchia è nella Nato, anche la Turchia si confronta con la Russia in Siria e in Azerbaijan oltre che in Libia, ma Erdogan e Putin si mettono d’accordo quando vogliono come hanno già dimostrato, una cosa che fa saltare la mosca al naso a Biden e al suo segretario di stato Blinken che ai tempi dell’amministrazione Obama sostenne la caduta di Gheddafi e ora vorrebbe cacciare la Russia dalla Cirenaica.

Ecco perché Erdogan tratta a pedate i rappresentanti europei e li umilia, visto tra l’altro che Francia e Germania non hanno mai voluto la Turchia dentro l’Unione. Il suo punto di vista è questo: lui rischia i suoi soldati in Siria e in Libia e adesso gli europei e gli americani vorrebbero che se ne andasse da Tripoli lasciando che fossero gli altri a godere i frutti politici ed economici della situazione? Non se ne parla proprio: e infatti nessuno ritirerà le truppe, né i turchi né i russi, tutti attestati su una linea del cessate il fuoco che l’Unione europea vorrebbe monitorare con un suo contingente allargando così i compiti della missione Irini per l’embargo navale sulle armi.

Si capisce bene allora che una sedia non è solo una questione di arredamento diplomatico ma rappresenta cosa si muove davvero dietro la pace e la guerra nel Mediterraneo: una spasmodica lotta di potenze.


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