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Joe Biden

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Con una cerimonia monumental-pop Joseph Biden Junior si è insediato come 46° Presidente degli Stati Uniti, mettendo fine all’incubo di istituzioni incapaci di reagire all’assalto barbarico dei fedeli dell’ultimo trumpismo.

Lady Gaga ha cantato l’inno nazionale con una acconciatura che ricordava la Leila di Guerre Stellari, la principessa che ha sconfitto la Morte Nera, e Bruce Springsteen, di fronte al Lincoln Memorial, ha cantato l’America “terra di speranze e sogni”, ricucendo gli antichi e nuovi miti di un Paese, che ha bisogno di ritrovare i motivi del proprio orgoglio nazionale dopo lo scempio dei simboli della propria supremazia morale.

La cerimonia, ricolma di bandiere e di emozioni, non ha certo sofferto dal contingentamento imposto dalla pandemia e dalla paura di nuovi assalti teppistici, così come dalla assenza del presidente uscente, che con ultimo atto di maleducazione istituzionale ha chiuso un mandato, il cui segno principale è stata la chiusura degli Stati Uniti dentro i propri confini, che stavolta però si sono dimostrati anche per loro troppo angusti.

Nella mezz’ora successiva Joe Biden ha firmato 17 decreti con i quali ha effettivamente azzerato la presidenza di Trump. Gli Stati Uniti tornano nella comunità internazionale, riprendendo la via di quel multilateralismo che Trump aveva deriso e schernito. Trump era e rimaneva un immobiliarista, quindi un esponente di un settore del tutto localizzato, che aveva guadagnato speculando sulla bolla edilizia dei primi anni della globalizzazione e che era divenuto paladino di quell’America rurale, che si riteneva sconfitta dalla crisi del 2009-11, che imputava proprio alla globalizzazione.

Con la firma dei 17 decreti, compiuta nello stesso momento in cui metteva piede in una Casa Bianca abbandonata dal suo predecessore, il nuovo Presidente ha rilanciato la presenza americana negli accordi sul clima, nominando un politico esperto e di lungo corso come John Kerry suo delegato personale per clima ed ambiente. D’altra parte la presenza di Janet Yellen come segretario al Tesoro pone al vertice dell’esecutivo una economista di grande nome ed esperienza – è stata a lungo presidente della Federal Reserve – che gode di grande stima in particolare presso la Banca Centrale Europea, da Draghi alla Lagarde.

Con un misto di volti nuovi e di politici e tecnici ben rodati, Biden si appresta ad una azione di governo che deve ristabilire i rapporti con gli alleati e prima fra tutti l’Europa, che in questi anni ha trovato nella Cina il suo primo partner commerciale, rafforzando in modo considerevole il ruolo economico ed anche politico della Germania, che ha potuto presentarsi come l’unico punto stabile di un Occidente, in cui Stati Uniti e Gran Bretagna miravano ad isolarsi.

In Europa Trump ha solleticato le spinte autoritarie delle fragili democrazie dell’Est Europa, con il risultato di avere spinto queste a guardare nuovamente verso la Russia di Putin. Egualmente nel Mediterraneo e nel Medio oriente l’assenza degli USA ha lasciato spazio allo stesso Putin e soprattutto a Erdogan, con cui ora bisogna fare i conti. Infine ad Oriente i tradizionali alleati, Giappone, Corea del Sud e Taiwan sono stati lasciati nelle mani della Cina, spiazzati dalle azioni di Trump verso il dittatore nordcoreano. Infine Sud America e Africa rimangono, con alti e bassi, sempre sull’orlo di collassi possibili e promesse non mantenute.

Diviene quindi necessario un rientro degli Stati Uniti nel contesto internazionale, per giocare un ruolo di equilibrio e rilancio degli scambi internazionali. Qui tuttavia il nuovo presidente dovrà fare i conti con le uova del serpente del vecchio Comandante in Capo. I settanta milioni di americani che hanno votato per Trump rappresentano un paese, che certamente non si identifica con le milizie neonaziste e con il Ku Klux Klan, ma che certamente teme una riapertura verso l’esterno essenzialmente perché non ritiene di essere competitivo né con la Cina, né con la Germania, perché produce prodotti agricoli e manufatti, che effettivamente non sono nella loro maggioranza competitivi sui mercati internazionali. D’altra parte i settori dell’economia americana che compete e vince sui mercati internazionali non sono più né le automobili, né oil and gas, ma sono i giganti del web, che hanno dimostrato una forza tale da tacitare anche il Presidente degli Stati Uniti.

In questo triangolo Biden dovrà muoversi: una politica estera che necessariamente dovrà riaprirsi verso la comunità internazionale, una politica interna che dovrà dare assicurazioni ai milioni di cittadini che temono ogni apertura ed il sostegno ad una nuova economia che però dovrà dimostrare di saper e poter regolare, per non esserne a sua volta regolato. L’interesse dell’Europa e di tutti noi è che Joe Biden riesca a vincere questa sfida.


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