I pescatori di Mazara del Vallo
5 minuti per la lettura“Libera i pescatori italiani entro Natale”. Così, lapidario e senza se ne ma, il leader del Cremlino, Vladimir Putin, ha ordinato al generale Haftar di liberare i 18 pescatori di Mazara del Vallo tenuti prigionieri per 108 giorni dal leader libico della Cirenaica, Haftar.
E visto che la sopravvivenza di Haftar che si contrappone al Governo di Tripoli sostenuto anche dall’Onu e dall’ Italia, dipende dai russi e dai turchi, non gli è rimasto altro che eseguire gli ordini. Rimangiandosi in fretta e furia il proclama che aveva fatto e cioè che i pescatori di Mazara del Vallo sarebbero stati liberati soltanto dopo che 4 giovani calciatori-cittadini libici rinchiusi nelle carceri italiane perché accusati ingiustamente di essere dei trafficanti di esseri umani non sarebbero stati a loro volta liberati.
Cosa che non è ancora avvenuta perché i quattro libici condannati a pene di oltre 30 anni, sono in attesa della sentenza definitiva della corte di cassazione italiana. E la notizia, mai smentita da nessuno, che a liberare i 18 pescatori è stato in realtà Vladimir Putin, era stata rivelata dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi che con Putin, come è noto, ha rapporti privilegiati.
La telefonata era arrivata circa due settimane prima della liberazione dei pescatori dal Cremlino alla base di Al Rajma città della Cirenaica dove si trova il quartiere generale di Haftar che ha preteso ed ottenuto un riscatto politico da far pagare ai politici italiani pretendendo ed ottenendo la presenza a Bengasi di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, il primo Presidente del Consiglio, l’altro Ministro della Difesa.
E se riguardiamo quelle immagini trasmesse da tutti i Tg italiani di Conte e Di Maio che sono andati a “liberare” i 18 pescatori di Mazara del Vallo ci accorgeremo che si è trattato di una vera e propria passerella ad uso esclusivo dei media italiani ed internazionali. E nella liberazione dei nostri pescatori non c’è stato soltanto Putin, ma anche il leader Turco Herdogan e la diplomazia degli Stati Uniti.
Ma anche Haftar ha fatto una brutta figura nei confronti dei suoi cittadini libici e, soprattutto, dei familiari dei quattro calciatori libici, che speravano che i loro figli tornassero a casa anziché marcire nelle carceri italiane. Ma la politica, come è noto, è fatta anche di tanti compromessi e così i politici italiani, Conte e Di Maio, ma anche Haftar hanno fatto buon viso a cattivo gioco.
Ed in Libia i familiari dei 4 calciatori arrestati nel 2005 nella cosiddetta “strage di Ferragosto” dove morirono 49 migranti per asfissia e trovati nella stiva del barcone che li trasportava, continuano ancora a protestare chiedendo la liberazione dei loro figli accusati di essere trafficanti di esseri umani. Una accusa che i legali dei quattro arrestati hanno sempre respinto con decisione sostenendo che i loro assistiti non sono trafficanti di essere umani ma “calciatori” che militano in squadre libiche e che come gli altri migranti, avevano pagato gli scafisti per raggiungere l’Europa nella speranza di esser ingaggiati da squadre di calcio europee.
Ed a sostegno di questa tesi gli avvocati italiani che li assistono hanno portato delle prove, intercettazioni telefoniche tra i quattro calciatori e gli scafisti, conversazioni dalle quali secondo i legali, emergerebbe la loro innocenza.
E nelle carceri italiane rimangono ancora detenuti i quattro libici Joma Tarek Laamami, di 24 anni, Abdelkarim Al Hamad di 23 anni, Mohannad Jarkess, di 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni che secondo le testimoniante dei migranti sopravvissuti alla strage avrebbero bloccato nella stiva molti disperati che tentavano di aprire la botola per non rimanere soffocati e bloccati dai quattro libici con “calci, bastonate, cinghiate e colpi di bottiglia” provocando la loro morte.
Secondo i migranti con cui viaggiavano, la notte della “Strage” con “calci, bastonate e cinghiate e colpi di bottiglia” avrebbero bloccato molti disperati nella stiva dell’imbarcazione. La versione dei 4 libici arrestati era diversa: Al Monsiff disse per esempio di «giocare a calcio nella serie A libica» e che aveva deciso «di andare in Germania per avere un futuro, impossibile in Libia a causa della guerra» e che si erano imbarcati anche loro pagando come tutti gli altri con uno sconto perché avrebbero dovuto occuparsi di governare la barca con quelle centinaia di migranti a bordo.
”Questo è un processo cominciato male fin dall’ inizio” dice l’ ultimo difensore dei libici, Cinzia Pecoraro impegnata nella memoria difensiva per la Corte di Cassazione.
“È stato un processo in cui sono state lese le norme di legge, prove falsate ed illegittime, con testimoni che non hanno riconosciuto neanche i loro morti e che invece avrebbero fatto dichiarazioni, soltanto sulla base di fotografie, indicando quei 4 libici come “scafisti”, ma scafisti non sono, abbiamo prodotto prove e testimonianze anche i messaggi che i quattro calciatori si sono scambiati con i veri trafficanti (che non sono mai stati identificati o rintracciati ndr) con i quali contrattavano il prezzo da pagare per la traversata verso Lampedusa. Fatti, non chiacchiere. Abbiamo pure prodotto le fotografie dei quattro arrestati mentre giocavano a calcio nelle loro squadre di appartenenza. Ma non è servito a niente”.
E nei giorni scorsi, mentre erano in corso i preparativi per la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo, l’avvocato Cinzia Pecoraro che difende uno dei quattro calciatori libici ha parlato con il suo assistito. “Io non accetterò mai uno scambio con i pescatori, io voglio uscire dal carcere da innocente, perché non sono uno scafista e l’ ho anche dimostrato. Io spero che la giustizia italiana verifichi attentamente anche quello che ha dimostrato il mio avvocato. Io voglio uscire dal carcere a testa alta e non con uno scambio di prigionieri”.
E non è la prima volta che la giustizia italiana prende degli abbagli, quello più clamoroso avvenne nel 2016 quando dal Sudan venne estradato in Italia Mered Medhani Ydhego, definito il Ras degli scafisti. Venne tenuto in carcere tre, ripeto tre, anni. Per lui l’accusa aveva chiesto 14 anni di carcere nonostante dna ed altre prove che scagionavano il “re” degli scafisti. Per fortuna fu poi riconosciuto innocente e risarcito.
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