Tunisi - Piazza Kashba
3 minuti per la letturaPer fare pressioni sulla Tunisia dopo gli sbarchi recenti a Lampedusa il ministro degli Esteri di Maio ha chiesto un stop ai finanziamenti destinati a questo Paese. Sembra una buona idea: ma lo è davvero?
In fondo paghiamo la guardia costiera libica per sparare sui migranti e i tunisini hanno comportamenti sicuramente più civili: forse sarebbe meglio far arrivare qui un po’ di gente con dei visti e dei canali sicuri. I tunisini hanno sempre vissuto di emigrazione, soprattutto verso la Francia, e le rimesse dei migranti sono un fattore fondamentale per l’economia del Paese. Inoltre la concessione di visti Schengen scoraggia sicuramente i traffici clandestini in mano a mafie dell’emigrazione che ormai sono transnazionali.
La Tunisia, poi, ha pagato un prezzo molto alto per la guerra di Libia: dalla caduta di Gheddafi nel 2011 ha perso almeno 300mila posti di lavoro, tra fissi e frontalieri. Gli aiuti europei alla Tunisia non solo sono moralmente giusti _ si tratta di sostenere un vicino di casa_ ma anche politicamente corretti perché questo è stato l’unico Paese delle primavere arabe a intraprendere dopo la caduta del raìs Ben Alì nel 2011 un percorso democratico, messo continuamente in difficoltà da molte insidie, in particolare dalla diffusione dell’estremismo, al punto che sono stati circa 7mila i tunisini che negli anni passati si sono arruolati con l’Isis. Aiutare la Tunisia non soltanto è doveroso ma fa parte della nostra stessa politica di sicurezza.
Per capire perché i giovani tunisini si imbarchino sempre più spesso verso l’Italia è fondamentale comprendere la portata della crisi sociale che destabilizza la Tunisia. Sulle coste il turismo, fonte di occupazione assai importante, sta languendo da anni, le stesse fabbriche tunisine della delocalizzazione straniera sono meno competitive di qualche anno fa, nonostante salari assai modesti non superiori ai 120 euro al mese per gli operai. Oltre ai giornalieri e al comparto dell’economia informale, 400mila lavoratori della zona costiera quest’anno resteranno a casa: il settore del turismo, il 20% dell’economia del Paese, è in piena crisi a causa della chiusura delle frontiere.
Nelle regioni dell’entroterra e del sud del paese il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 35% mentre la crisi sanitaria ha contribuito a peggiorare notevolmente condizioni di vita già estremamente precarie. Nella regione di Tataouine (Sahara tunisino), tra le più povere del Paese, dopo il lockdown i giovani disoccupati hanno ricominciato a protestare chiedendo al governo l’applicazione di un accordo firmato nel 2017 che avrebbe dovuto garantire la creazione di nuovi posti di lavoro grazie al coinvolgimento delle imprese petrolifere che operano nella zona, tra cui l’italiana Eni a cui viene chiesto di procedere al reclutamento di manodopera locale. Cosa che non è ancora accaduta.
Secondo la banca centrale tunisina il Pil si ridurrà del 4,3% e come conseguenza si avrà un aumento della disoccupazione di almeno 6 punti percentuali. Dal 15% al 21% della popolazione totale senza lavoro in pochi mesi. In cambio di una serie di riforme il Fondo monetario internazionale ha concesso un prestito d’urgenza alla Tunisia di 745 milioni di dollari per “attenuare le ripercussioni della crisi sul piano umanitario, sociale ed economico in un contesto più incerto che mai che prevede la “peggiore recessione dai tempi dell’indipendenza nel 1956”.
E a questo Paese noi vorremmo congelare gli aiuti? Serve invece ben altro, considerata anche la crisi politica che sta vivendo la Tunisia: il primo ministro Elyes Fakhfakh si è dimesso il 15 luglio, a soli sei mesi dalla sua nomina, e il Paese attende un nuovo governo. L’Europa dovrebbe mobilitarsi per sostenere la Tunisia, consolidare una delle poche democrazie del Nordafrica a sua volta minacciata dalla destabilizzazione libica. Certo è necessario il ricollocamento dei migranti, si deve puntare su rimpatri più veloci ma soprattutto aiutare economicamente la Tunisia. C’è sempre un sud più a sud di noi che chiede una mano e se la casa del nostro vicino brucia prima o poi anche la nostra verrà lambita dalle fiamme.
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