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Il generale Al Sisi

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L’esercito egiziano del generale Abdel Fattah Al Sisi oltre a essere una macchina da guerra è una macchina da soldi. Lo era già ai tempi di Mubarak ma con il presidente-generale, salito al potere con un colpo di stato nel 2013, le forze armate sono diventate onnipresenti in tutti i gangli dell’economia. Questo spiega perché il Raìs egiziano ha in mano le leve del potere e risaltano quindi ancora di più le umiliazioni inflitte all’Italia sul caso Regeni, la carcerazione ingiustificata del giovane studente Zaki e le contraddizioni legate alle mega forniture belliche che gli italiani vorrebbero concludere con il Cairo.

Da tempo l’esercito non  si accontenta più di essere il maggiore produttore di pane, pasta, acqua minerale, si è allargato all’informatica, alle attrezzature, ai servizi. È diventato allevatore di pesci, produttore di cemento, persino gestore di sale da conferenza. Un impero industriale e commerciale che conta quasi un centinaio di imprese che ha come obiettivo la conquista dei mercati pubblici e delle grandi commesse. Tutti i ministeri e anche l’istituzione islamica di Al Azhar sono costretti a firmare accordi con le forze armate.

Ai tempi di Mubarak, scrive Le Monde Diplomatique, i privilegi accordati all’esercito non disturbavano troppo le società private perché anche loro avevano diritto anche a una fetta della torta degli appalti. La presenza delle forze armate nell’economia oggi però è diventata pervasiva e irritante. «L’esercito gode di vantaggi indebiti rispetto alle normali imprese: è una distorsione della concorrenza», dichiara al giornale francese Naguib Sawiris. Le imprese dell’esercito sono esenti da tasse e diritti doganali e non sono state neppure sfiorate dagli aumenti delle tariffe pubbliche energetiche.

Il complesso militar-industriale egiziano si fonda su tre pilastri: il ministero della produzione militare, quello della difesa e l’Organizzazione araba per l’industrializzazione. L’Organizzazione riunisce dozzine di imprese ed è onnipresente nelle città, nei mercati, con migliaia di negozi e chioschi che vendono  prodotti alimentaria buon mercato. Fa concorrenza sleale perché per abbassare i costi di produzione e i prezzi utilizza migliaia di soldati di leva (da uno a tre anni a seconda dei casi) il cui salario mensile è di 350 lire egiziane meno di venti euro contro una media nel settore privato di 110 euro.

All’esercito è stata segnata anche la gestione delle autostrade, con concessioni che vanno dai 50 ai 99 anni, con le relative stazioni di servizio. Tutti i terreni che costeggiano le strade nazionali sono ormai di proprietà delle forze armate che utilizzano queste aree per la costruzione di fabbriche e centri commerciali. L’esercito inoltre non esita a far concorrenza ai privati come è accaduto nel settore del cemento dove il suo ingresso ha segnato la chiusura di due imprese pubbliche e il licenziamento di migliaia di persone. Le sue industrie di costruzioni hanno un acceso privilegiato ai grandi lavori infrastrutturali lanciati da Al Sisi: si tratta di circa 2300 progetti tra ponti e strade gestiti dall’Autorità dell’ingegneria militare. Ci sono anche in cantiere 50 nuove città, tra cui una a 45 chilometri a est del Cairo che dovrebbe occupare una superficie pari a sette volte quella di Parigi. Ma spesso queste grandi opere subiscono dei rallentamenti per mancanza di investitori.

Che l’Egitto si avvantaggi davvero di questa sfrenate attività economiche dell’esercito è fortemente in dubbio. Il boom delle costruzioni e dei grandi lavori pubblici trascina la crescita ma ha anche costretto lo stato a indebitarsi e il Cairo ha dovuto fare appello agli aiuti e ai crediti del Fondo monetario internazionale: la disoccupazione si è ridotta ufficialmente al 9 per cento ma il dato si spiega soprattutto con l’esclusione di 1,3 milioni di donne dalla categoria dei disoccupati. Indovinate chi gestisce questa statistiche sull’occupazione? Ma un generale di fanteria, naturalmente.


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Francesco Ridolfi

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