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Netanyahu il primo ministro israeliano con il presidente Trump

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Si discute giustamente dei crimini del colonialismo europeo del passato ma c’è un colonialismo “vivente” che pochi contestano. Che avvenga oggi, come annunciato, o in futuro, l’annessione israeliana di pezzi della Cisgiordania è un atto illegale e non riconosciuto dalla comunità internazionale. Tranne da un solo soggetto, gli Stati Uniti.

Rendendo ufficiale l’annessione delle alture siriane del Golan e di Gerusalemme Est, è stato Donald Trump a incoraggiare il premier Benjamin Netanyahu a spingersi ancora oltre. L’idea è quella di passare dall’occupazione militare all’integrazione di interi territori: ma senza concedere ai palestinesi la cittadinanza. In poche parole farne dei sudditi senza diritti, relegandoli in una sorta di bantustan e in una condizione di apartheid. Tutto questo sta avvenendo nel 2020 mentre nelle piazze si manifesta contro ogni forma di razzismo e di discriminazione: come può essere accettata una cosa simile?

Tutto questo la dice lunghissima sulla bassa qualità della democrazia americana, su Trump e su un Paese, gli Stati Uniti, considerato la “guida” del mondo libero occidentale. Flebili per altro sono state finora le proteste europee e quasi inesistenti quelle della Russia e della Cina.

Se questi soggetti protestano è soltanto per questioni “cosmetiche”: nessuno ha la minima intenzione di applicare sanzioni a Israele. Sanzioni che invece gli americani costringono ad imporre a Paesi come l’Iran, per altro dopo avere stracciato l’accordo sul nucleare del 2015 approvato dall’Onu e dalla comunità internazionale. Ecco di che cosa parliamo quando si dice che la politica internazionale è basata su un “doppio standard”: uno vale per Israele, che può fare più o meno ciò che vuole, l’altro standard, quello punitivo, viene applicato al resto del mondo.

Ora che l’annessione avvenga subito o nei prossimi mesi o anni è relativo: lo stesso principio affermato da Netanyahu è da respingere con forza. Per di più il tutto avviene senza nessuna trattativa con gli arabi e casomai lo status definitivo degli altri territori viene rinviato a futuri negoziati che non sapremo se mai se ci saranno.

È chiaro che il principio due popoli e due stati viene affondato, a meno di considerare il possibile stato palestinese un insieme di moncherini divisi tra di loro e dove gli arabi sono costretti a chiedere permesso agli israeliani per andare da una parte all’altra. Un po’ come avere un poliziotto che controlla i documenti passando dal salotto alla cucina.

Se Netanyahu metterà per il momento un freno alle ambizioni di annessione, almeno parzialmente, questo è dovuto al fatto che ha difficoltà nel governo di coalizione con Gantz e che Trump, in grande difficoltà nella campagna elettorale, non ha intenzione di aprire l’ennesimo fronte mediorientale. Al massimo il presidente americano può contemplare un attacco mirato a bersagli iraniani come ha fatto uccidendo il generale Qassem Soleimani il 3 gennaio scorso: sono “colpi” ad effetto che portano voti. Ha già capito invece che il piano per il Medio Oriente affidato al genero Jared Kushner è affondato e non porterà a quel successo internazionale da lui tanto ambito. E se Netanyahu si dovesse autolimitare lo farebbe anche perché gli americani gli stanno facendo pressioni: l’annessione mette in difficoltà il moderato re Abdallah di Giordania dove il 60% della popolazione è di origine palestinese.

Quindi oggi vedremo cosa accadrà tenendo presente che se in futuro il piano di annessione venisse applicato i palestinesi perderanno altri 280 chilometri quadrati di terreni privati, come scrive sul giornale online Times of Israel Shaul Arieli, un comandante militare israeliano specializzato nella demarcazione dei confini. Israele inoltre marcherà un nuovo confine di 200 km tra la Valle del Giordano e il resto della Cisgiordania e un confine di 60 km, di fatto un recinto, attorno a Gerico, il capoluogo della valle. Nuovi confini puntellati di tanti posti di blocco e controllo. Netanyahu è stato categorico: «Nessun palestinese nelle aree annesse diventerà cittadino israeliano», ha assicurato. E ha parlato di “enclavi” palestinesi che faranno capo all’Autorità Nazionale del presidente Abu Mazen.

Si tratta insomma di un furto di territori e di un vero apartheid. In menti come quella del premier israeliano non c’è soltanto la difesa di Israele ma una concezione dichiaratamente colonialista. Come scrive Moni Ovadia sul Manifesto, se questa suprema ingiustizia passa nell’indifferenza complice della prevalenza della comunità internazionale, sarà decretata la morte de facto e de iure della cultura dei diritti universali. In futuro qualsiasi aspirante dittatore o uomo forte potrà prendere provvedimenti liberticidi legittimandosi con l’esempio pratico e simbolico d’Israele. Che è esattamente il contrario della ragione ideale che dopo la seconda guerra mondiale portò alla sua nascita.


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