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Una nave gasiera

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“I capitalisti ci venderanno la corda con la quale li impiccheremo”. È una frase attribuita a Lenin che, a pensarci bene fa il caso nostro mentre assistiamo all’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin. Per essere precisi, tuttavia, occorrerebbe sostituire il verbo vendere e il tempo, con il verbo acquistare non più al futuro ma al passato prossimo.

In effetti, al pari di Alice nel Paese delle meraviglie ci siamo accorti che l’Europa è al guinzaglio del Cremlino per quanto riguarda la fornitura di energia: il che la rende molto fragile e guardinga se le viene chiesto di ‘’fare la voce grossa’’ nei confronti dello zar russo.

L’analisi può sembrare forzata, al limite del paradosso, ma in questo momento di crisi ci rendiamo conto che la Russia ha nei confronti dell’Europa un potere superiore a quello dei carri armati del Patto di Varsavia. Il Cremlino ha le mani sulla vena iugulare delle forniture energetiche che condizionano la vita e il benessere di gran parte dell’Europa. È vero: se noi abbiamo necessità di acquistare il gas e il petrolio russo, Putin ha l’esigenza di venderlo.

Ma almeno per ora tra le due convenienze sembra esservi un disequilibrio a favore della Russia, se è vero che la decantata compattezza dell’Unione scricchiola tuttora sul terreno energetico. Poi non si è ancora capito come avverrà il pagamento delle fornitura, richiesto da Putin in rubli alle nazioni ritenute ‘’ostili’’. Che ci sia, nella pretesa dell’autocrate/aggressore una violazione palese degli accordi commerciali riguardanti la valuta, è un fatto scontato. Che le modalità del pagamento siano finalizzate a rivalutare il rublo in cambio di moneta pregiata è uno stratagemma che sembra suggerito da Chance il giardiniere (il protagonista del celebre film ‘’Oltre il giardino’’).

Ma non è necessario un grande sforzo di immaginazione per ritenere che un governo disposto a violare un sacco di convenzioni internazionali, non si preoccupi più di tanto di non rispettare dei contratti commerciali.

Per fortuna sembra che l’Unione europea e gli Stati Uniti abbiano raggiunto un accordo per aumentare considerevolmente le importazioni in Europa di Gas naturale liquefatto (Gnl) al fine di ridurre la dipendenza dal gas russo. Lo hanno annunciato, nei giorni scorsi, Jeo Biden e Ursula von der Leyen.

Ovviamente sono indispensabili gli impianti di rigassificazione; ma noi italiani ne siamo un bel po’ carenti. E’ l’ora di un Piano Marshall dell’energia? Certamente. Al di là delle definizioni (il paragone con il Piano dell’Amministrazione Usa del 1947 per le ricostruzione dell’Europa distrutta dalla guerra viene spadellato in ogni occasione di grave difficoltà) il raggiungimento di una minore dipendenza energetica condiziona non solo l’agibilità politica dell’Unione nella crisi Ucraina, ma la sua stessa autonomia nel nuovo scenario geopolitico che si è aperto.

Se la prospettiva è – nel meno drammatico dei casi – l’apertura di un periodo di conflittualità politica tra l’Occidente e la Federazione russa, l’Europa e soprattutto l’Italia non possono essere alla mercè del potenziale nemico per quanto riguarda i prodotti energetici e agroalimentari.

In sostanza, come nel 1947, l’Occidente non può esimersi dall’accompagnare una ritrovata alleanza politica con una strategia economica adeguata e coerente. Ecco perché evocare il Piano Marshall rende l’idea del livello di sfida che è necessario, al di là dei contenuti che ne sono strumento e che dipendono dai problemi da affrontare in situazioni tanto differenti e tanto lontane nel tempo.

Il punto di svolta deve essere il grande tema dell’energia per dotarsi di una visione per il presente e per il futuro. Il Piano dell’Amministrazione americana del 1947 fu una scelta lucida e lungimirante con la quale gli Usa, vincitori della guerra, si impegnavano a svolgere un ruolo di guida nella ricostruzione e nella conquista di una pace solida e duratura.

È ciò che era mancato alla fine della Grande Guerra. Gli Usa, nel secondo dopoguerra (già la Carta Atlantica aveva tracciato la rotta) compresero che era necessario recuperare anche i Paesi sconfitti ad una prospettiva di ricostruzione e di pace. A parte i soccorsi di carattere alimentare, il Piano Marshall non si limitava a fornire risorse importanti (fatte le dovute equivalenze comunque inferiori a quelle del NGEU) nell’arco di un quinquennio, ma orientava la riconversione e la ricostruzione degli apparati industriali verso nuovi obiettivi produttivi: i beni di consumo durevoli a partire dall’automobile fino ai c.d. elettrodomestici bianchi.

Il che ovviamente richiedeva investimenti nelle infrastrutture (le autostrade) e nell’industria di base (la siderurgia, l’energia e la petrolchimica). Il miracolo economico (pur con tutti i suoi squilibri: l’immigrazione interna, il dualismo Nord-Sud, ecc.) si basò su tali scelte. E la conversione verso l’economia di mercato e il libero commercio si trasformò in breve tempo in un’alleanza politico-militare (il Patto Atlantico e la Nato), che favorì il sorgere di una comunità europea, democratica e aperta sui due pilastri fondamentali di un nuovo ordine: la democrazia e l’economia di mercato.

La grande intuizione degli statisti europei dell’immediato dopoguerra fu quella di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio (CECA) ovvero delle risorse, il dominio delle quali era stato il motivo principale di due guerre mondiali La competizione con l’URSS durante la Guerra fredda non fu solo politica e militare, ma anche economica.. L’Impero sovietico si sgretolò, sull’economia. E sull’economia ha fondato la ricostruzione di un nuovo Impero.

Se l’Occidente non si ricompatta stabilmente sull’energia, la Ue non potrà mai tagliare i legami con la Russia, fino a quando non trova mezzi sostitutivi per il suo fabbisogno energetico. La guerra in Ucraina ha interrotto la deriva dell’Europa verso l’abbraccio dell’influenza russa. Ma come dice la canzone gli amori fanno giri immensi poi ritornano. Soprattutto se si fondano su di interessi comuni.

Non si dimentichi l’indifferenza dell’opinione pubblica nel 2014 quando la Russia incorporò la Crimea e la fatica con cui i Paesi europei accettarono di aderire alle sanzioni volute dagli Usa. Non si dimentichi mai che nel contratto del primo governo (giallo-verde) dell’attuale legislatura stava scritto che: «È opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)».

Né si dimentichi l’influenza diretta che la Russia ha esercitato negli equilibri politici di vari Paesi europei, appoggiando, anche finanziariamente, le formazioni sovraniste e di estrema destra. Alla faccia dell’ANPI.


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