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Emmanuel Macron

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Atteso e poi rimandato di una settimana, è finalmente giunto il piano francese di risposta all’emergenza Covid-19. Se si escludono quello tedesco, presentato a inizio giugno e dunque prima del via libera europeo al Recovery Fund, e gli stimoli britannici all’economia di inizio luglio, in realtà molto settoriali, siamo di fronte al primo articolato insieme di progetti, parte dei quali finanziati per via europea, di contrasto alla crisi economica post-pandemica. France-Relance è il nome complessivo di un intervento da 100 miliardi di euro su due anni e mezzo. La cifra non è trascurabile se si pensa che corrisponde a tre volte il piano francese post crisi del 2008. France-Relance può essere interpretato secondo due approcci.

STRATEGIA IN DUE TEMPI

Quello legato al breve termine è piuttosto banale e non così incisivo. Entro il 2022 si preannuncia il ritorno a livelli di ricchezza pre-Covid e si prevede la creazione di 160 mila nuovi posti di lavoro, non granché se si pensa agli oltre 800 mila già perduti. E’ quello connesso a una visione di medio-lungo termine, invece, a essere di maggiore interesse. In questo caso l’obiettivo è adattare l’economia francese alle sfide ambientali e tecnologiche, puntando a un orizzonte di un decennio. I pilastri di questa progettualità di medio-lungo termine sono tre e su questi è anche articolato l’impegno dei 100 miliardi. Un terzo andrà alla transizione ecologica, un terzo alla competitività e innovazione e l’ultimo terzo alla coesione sociale e territoriale. Questa è la parte veramente politica del piano che impegna prima di tutto il nuovo primo ministro Castex, che non a caso si è definito gollista sociale ma ha anche ricordato il primato presidenziale, in termini di indirizzo e dunque di paternità del piano stesso. Macron si gioca tutte le carte in un audace all-in. Lo scenario, rischioso quanto intrigante, consiste nel rovesciare completamente la prospettiva attraverso la quale guardare la sfida pandemica: da calamità drammatica ad insperata opportunità per compiere quelle riforme economiche strutturali necessarie al Paese dai primi anni Ottanta.

LA SCOMMESSA SULLE RILOCALIZZAZIONI

Che il piano sia dominato dallo sguardo lungo piuttosto che dalla logica di breve periodo, lo si nota perlomeno da due caratteristiche. Prima di tutto non ci si sofferma sul classico stimolo ai consumi; cioè il termine rilancio, nel contesto transalpino, non è soltanto sinonimo di maggior potere d’acquisto. In secondo luogo, centrale è l’abbassamento delle tasse sulla produzione. Questa scelta dovrebbe concretamente rendere più competitiva l’industria francese e innescare il meccanismo virtuoso delle rilocalizzazioni. Sul lungo termine, dunque, France-Relance potrebbe presentarsi come un modello.

LE INCOGNITE

Non mancano però le incognite. Prima di tutto France-Relance è un grande contenitore nel quale si articolano una settantina di progetti. Servirà uno sforzo burocratico importante per garantirne l’implementazione e la non sovrapposizione. In secondo luogo, la questione per nulla trascurabile del finanziamento di questi 100 miliardi. Se si escludono circa 20 miliardi, finanziati dalla Banca pubblica di investimento Bpifrance e da Cassa depositi, gli altri 80 saranno equamente suddivisi tra Europa e fondi interni, la maggior parte di questi ultimi da finanziarsi in deficit. Il ministro dell’Economia su quest’ultimo punto è stato tranchant: almeno fino al 2025 si lascerà correre il debito pubblico. Terminata tale fase dovrebbe essere possibile cominciare a raccogliere i frutti del rilancio e allora ci si rimetterà anche in linea, riducendo il debito. L’equazione è a dir poco rischiosa: non aumentare le tasse e contemporaneamente non condannare le giovani generazioni a quote mostruose di debito pubblico come eredità. Terza importante criticità: il piano è un insieme di progetti sul futuro. Non bisogna però dimenticare la gestione del presente, con il rischio ripresa dell’epidemia e la quasi scontata degradazione del clima sociale nei prossimi mesi.

LA CONQUISTA DELLA FIDUCIA

Qualsiasi piano, anche il più articolato e innovativo, non può permettersi di perdere la battaglia della fiducia. Nei mesi primaverili la parola d’ordine è stata contrastare il virus e cioè gestire l’urgenza. La fase di lenta e complicata uscita dal lockdown è stata il tempo della cosiddetta resilienza. Ora tocca alla fase della fiducia. Il pragmatismo di Castex e il volontarismo visionario di Macron saranno sufficienti a garantire quel clima minimo di coesione nazionale necessario per implementare il riformismo contenuto nel piano France-Relance? Su questo punto la riflessione da francese diventa europea.

L’impatto della pandemia sul Vecchio Continente è stato devastante da vari punti di vista, ma ha segnato in profondità un tessuto da tempo lacerato. Il grande sforzo di volontarismo politico che si è concretizzato a fine luglio ha fornito al continente europeo un’ultima possibilità per invertire una rotta da tempo smarrita. Proporre una serie di piani è solo una parte della soluzione. Servono anche istituzioni, sistemi amministrativi e leadership politiche in grado di cambiare passo dopo decenni di errori che il Covid-19 ha drammaticamente e definitivamente portato alla luce. Parigi ha tracciato una via fatta di ambizione e rischio. Ora tocca agli altri.


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