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È una questioni di Stati. Dopo il Covid, e ancora di più con la guerra in corso, l’agroalimentare è balzato al centro delle strategie economiche e politiche del mondo intero. La sicurezza alimentare , in termini di approvvigionamenti e qualità, sarà infatti anche tra i temi che saranno affrontati dal vertice dei capi di Stato e di governo al quale parteciperà il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.

Il cibo non solo per nutrire, ma per garantire la pace sociale. L’impennata dei prezzi del gas e petrolio, ma anche delle principali materie agricole (come il grano, che in un mese di guerra ha segnato un balzo del 53%) ha messo in crisi i sistemi produttivi europei. Ma la condizione più fragile è senza dubbio quella italiana, con un settore manifatturiero inchiodato alle importazioni estere.

IL BRACCINO CORTO DELLA UE

Le prime risposte da Bruxelles sono arrivate, anche se ancora blande. Più consistenti le misure messe in atto dal nostro governo. Ma serve di più. Lo ha chiesto la Coldiretti, che ha chiamato a raccolta i suoi dirigenti nazionali per affrontare l’emergenza sempre più devastante per le aziende. La richiesta è una sola: autosufficienza alimentare. Per mettere in sicurezza le nostre produzioni e soprattutto per garantire cibo di qualità.

Obiettivi ambiziosi che richiedono risorse adeguate. La Commissione europea, nonostante i proclami, ha mantenuto il braccino corto. I 500 milioni stanziati per sostenere l’agroalimentare per l’Italia si sostanziano in 50 milioni. Troppo pochi. Lo riconosce anche il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, intervenuto all’incontro della dirigenza Coldiretti, che ha sottolineato come il costo della guerra per l’Italia sia elevatissimo.

Per questo , secondo Patuanelli, è indispensabile mettere in campo risorse consistenti ricorrendo al debito comune europeo: «È l’unica risposta per sostenere le attività produttive». Ha anche ricordato come oggi si paghi il conto di delocalizzazione e ricerca del prezzo più basso. Con la guerra il sistema economico è saltato.

Bene, invece, la scelta di derogare alla messa a riposo dei terreni mettendo in pista 4 milioni di ettari che per l’Italia sono 200mila ettari in grado di produrre, secondo le stime della Coldiretti, 15 milioni di quintali in più di mais, grano tenero e duro.

Tra le regioni interessate c’è la Campania, con una potenzialità di 10.500 ettari in più. Per l’agricoltura italiana si tratta di un’opportunità importante per recuperare quella parte di aree abbandonate nel corso degli anni, pari al 28% della superficie coltivabile. Ma , ha sottolineato Patuanelli, se la Ue non approva velocemente questo pacchetto si rischia di non fare in tempo con le prossime semine. I tempi della politica, infatti, non sono in linea con quelli dell’agricoltura. Il ministro vuole anche spingere per una deroga sull’entrata in vigore (fissata a gennaio 2023) della nuova Politica agricola comune. In un momento in cui bisogna produrre di più, vanno allentati i vincoli ecologici di una strategia sbilanciata sul green.

LE MOSSE DEL GOVERNO

Prandini ha dato atto al governo Draghi di aver recepito il pacchetto di proposte della Coldiretti da 35 milioni per le filiere in crisi (più dello stanziamento della Commissione), ai fondi – 1,5 miliardi – del Pnrr per installare i pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici rurali per l’autonomia energetica delle aziende. Un intervento che, con i contributi a fondo perduto (40% al Nord e 50% al Sud), potrà essere ammortizzato in un anno e mezzo.

E ancora, 1,2 miliardi per i contratti di filiera, lo sblocco di 86 milioni per la zootecnia e 200 milioni del bando indigenti. Per finire con il digestato equiparato ai fertilizzanti chimici, cavallo di battaglia dell’organizzazione.

Ma alla Coldiretti non basta. Per mettere in produzione i nuovi terreni servono infatti altre azioni, a cominciare dalla lotta alla fauna selvatica. Ma serve soprattutto acqua. Coldiretti ha rilanciato il piano invasi con una doppia valenza, sia per dare acqua all’agricoltura, sia per produrre energia elettrica. Un piano che. secondo Prandini, può essere finanziato con le risorse del Pnrr. Aumentare la produzione potrebbe creare, nell’arco dei prossimi dieci anni, un milione di nuovi posti di lavoro.

I RISCHI DELL’EMERGENZA

E poi etichette chiare, come ha deciso il presidente francese Macron, anche nei ristoranti. Il pericolo, come ha denunciato anche il segretario generale, Vincenzo Gesmundo, è che con l’alibi della necessità di garantire gli acquisti arrivino nell’Unione europea e in Italia materie prime che non rispettano gli standard di qualità. Il rischio, insomma, è che si ripeta quello che sta avvenendo con l’olio di girasole. Il ministero dello Sviluppo economico ha infatti deciso di rinunciare all’etichetta trasparente. In questo modo, con una generica indicazione di olio di semi nelle bottiglie, potrebbe rispuntare nuovamente l’olio di palma.


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