La sede Rai di via Teluada a Roma
6 minuti per la letturaCon tutto quello che costa proprio non serve una Rai delle parole che ricalchi il talk show delle TV commerciali. La Rai di cui ha oggi vitale bisogno il Paese deve essere in grado di rappresentare una alternativa a tutto ciò. Non si poteva azzerare il sistema dominante del Cencelli cencellizzato, ma pur tra qualche evidente caduta di stile si sono azzerati gli eccessi. Serve una Rai all’avanguardia con un progetto editoriale chiaro di servizio pubblico e quindi deve fare quasi l’esatto opposto di quello che si è fatto fino a oggi. Per fare bene la Rai e, allo stesso tempo, per essere capace di costruire il comune senso nazionale della situazione in cui ci troviamo
Se una volta non guardavi il Tg1 eri fuori della storia. Con il Tg1 diretto da Giuseppe Carboni c’è chi questa storia l’ha trovata altrove. Quando la trovi altrove e non torni indietro qualcosa è successo. Vuol dire che sei arrivato al Cencelli cencellizzato.
Il primo Cencelli era un metodo per distribuire ruoli incisivi dove si lottizzava ma si cercavano competenze perché c’era la gara tra le competenze. Il Cencelli cencellizzato è il sistema dove i Capi partito si preoccupano solo di piazzare le loro figurine e di mostrare sul petto quante medagliette hanno. Una volta la lottizzazione era nell’aria e c’era chi sapeva annusare di suo perché si sapeva che cosa si voleva e che cosa serviva.
Sto pensando a Bernabei in mezzo tra Fanfani e Moro e a quella solidarietà intelligente tra persone di valore che avevano un progetto comune e non dovevano negoziare su tanti dettagli. Anche lì comunque fino a un certo punto. Però quello che contava, questo sì, era il progetto, la capacità di attuarlo che vuol dire scegliere le persone che sanno come si fa, e la leadership conseguente. Quella Rai di Bernabei è stata centrale nel passaggio del Paese da un’economia agricola di secondo livello a un’economia industrializzata. È stata la Rai del boom economico italiano del Dopoguerra. È stata la Rai che guidava il dibattito della pubblica opinione. Che stava addirittura avanti al Paese.
La Rai che serve oggi al Paese deve fare i conti con due grandi emergenze. La prima è la pandemia che non è una cosa che può trovare una soluzione una volta per tutte. È una storia lunga come sono lunghe le storie di tutte le pandemie e c’è bisogno di tenere in piedi un sistema coeso che ti aiuti ad affrontare e risolvere il suo problema quotidiano. La seconda emergenza è quella di riuscire a dare nelle mani giuste una griglia di poteri e una macchina operativa che consentano di porre basi di cemento armato per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e di un’economia che cresce tanto stabilmente.
In entrambe le emergenze se le si vuole affrontare e superare non a parole sono fondamentali un vero progetto editoriale della Rai e un dibattito della pubblica opinione per lo meno consapevole. Serve soprattutto una Rai che come servizio pubblico dia la linea, non che scopiazzi le Tv commerciali non solo con lo stesso stile ma perfino con gli stessi personaggi.
Al Paese con tutto quello che costa proprio non serve una Rai delle parole che ricalchi il talk show delle Tv commerciali dove una compagnia di giro di politici senza mestiere e di giornalisti di carta stampata a volte di qualità a volte di quarta serie mettono in scena un teatrino quotidiano che ha monopolizzato e degradato fino alla punta estrema del qualunquismo populista il dibattito della pubblica opinione.
Siamo davanti alla negazione della Tv che è immagini, reportage, inchiesta, programmi, divulgazione, educazione e alla distruzione irresponsabile dello spirito comune di una nazione. Siamo alla plastica rappresentazione del declino italiano strutturale in termini di informazione dove si fa strame di ogni barlume di competenza e si spacciano come notizie demagogia, populismi e sovranismi tanto al chilo.
La Rai di cui ha oggi vitale bisogno il Paese deve essere in grado di rappresentare una alternativa a tutto ciò. Non si poteva azzerare il sistema dominante da almeno dieci anni in qua di Cencelli cencellizzato che accompagna anche visivamente il degrado del Paese e, pur tra qualche evidente caduta di stile, si sono azzerati gli eccessi del Cencelli cencellizzato.
È emerso subito un problema molto complicato perché se chiedi di alzare del minimo indispensabile l’asticella devi avere donne e uomini di una certa qualità e i Cinque stelle di loro non li hanno o ne hanno pochissimi sia perché hanno una storia recente sia perché sono pieni di arrampicatori che sono saliti sul treno al loro seguito per fare carriera ma sono scesi con la velocità della luce ora che il treno si è fermato. Poi quando ti misuri con il Cencelli cencellizzato e tutte le sue decadenze vengono fuori le astuzie che fanno valutare i partiti non per quello che pesano in Parlamento ma per quello che si ritiene pesino nel Paese per l’oggi e per il domani così come emergono le debolezze di sempre per cui tra un aggiustamento politico e l’altro saltano fili di continuità che un’azienda che ha un progetto ambizioso non dovrebbe mai perdere.
È indubbio tuttavia che la Destra e la Sinistra hanno un bacino più attrezzato e alla fine ne escono meglio. Le conferme di Gennaro Sangiuliano alla guida del Tg2 e di Alessandro Casarin alla Tgr, la nomina di Monica Maggioni alla direzione del Tg1 e di Mario Orfeo alla nuova direzione Approfondimenti esprimono questo bagaglio di competenza e di esperienza dentro lo storico Cencelli cencellizzato. Il fatto che Conte a differenza di Di Maio dentro una malcelata sofferenza da lottizzatore deluso scelga l’Aventino, anche se non si sa per quanti giorni, segnala comunque un ragionamento del tipo “la Rai ha più bisogno di noi di quello di cui noi abbiamo bisogno della Rai”.
Errore! Non è così nel caso dei Cinque stelle, ma è di sicuro vero che la Rai oggi non è più un must come una volta. Non è più una cosa centrale di cui non ne puoi fare a meno come canale di comunicazione mentre continui a volerlo come canale di potere per fare operazioni di marketing politico-elettorale. La Rai deve tornare a essere la Rai delle sue stagioni migliori.
Una Rai che era un’avanguardia con un progetto editoriale chiaro di servizio pubblico e, quindi, deve fare quasi l’esatto opposto di quello che si è fatto fino a oggi. Per fare bene la Rai e, allo stesso tempo, per essere capace di costruire il comune senso nazionale della situazione in cui ci troviamo. Sapendo che oggi il primato culturale si costruisce lavorando sulla concorrenza vera che viene da Netflix, Amazon, Sky. Perché i valori si trasmettono con la buona informazione ma ancora di più con le serie e con i programmi anche di intrattenimenti fatti e pensati da autori che pensano Paese.
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