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Come è possibile che siamo tra i primi tre Paesi al mondo in investimenti in robot in quasi tutti i settori per le imprese private e non si riesce a investire per unire le piattaforme dei vari rami della pubblica amministrazione? Che credibilità hanno i capi di Tim, senza soldi e senza idee, per fare la loro parte? Dietro la supercrescita indiana c’è la digitalizzazione, ma se anche l’Europa investisse centinaia di miliardi in industria e in ricerca con il digitale che ci ritroviamo non verrebbero attratti dall’Olanda e dalla scassatissima Germania invece che da noi?
A forza di parlare di dettagli si rischia di avere la sensazione che con una crescita ferma a zero nel terzo trimestre siamo alla catastrofe e con una correzione della stima del prodotto interno lordo (Pil) a +0,1% stiamo volando. Andando a vedere bene dentro ci accorgiamo che il dato congiunturale della nostra economia è ancora tutto sommato buono visto che sconta una non ricostituzione delle scorte mentre camminano esportazioni e consumi. Questa non ricostituzione delle scorte è l’effetto più evidente di un Paese che è sempre al centro della sua attenzione con un catastrofismo connaturato alla discussione stessa che finisce, quindi, per incidere sulla fiducia nelle prospettive di crescita della sua economia.
Le scorte calano non perché l’economia vola e si svuotano, ma perché in vista di un rallentamento che tutti o danno per scontato o, peggio, addirittura auspicano, non si ritiene di avere in futuro tanti ordini da dovere ricostituire le scorte. Questo Paese è sempre al centro della sua attenzione ma non per costruire un quadro analitico di riferimento per i prossimi sei anni partendo dal dato di fondo che non aumenti la produttività se fai con più gente le stesse cose e che con una popolazione flettente, al massimo parificata con l’immigrazione, non è neppure così stabile per potere ripagare il suo debito pubblico. Un Paese di 60 milioni di persone che ha avuto dall’Europa 194,4 miliardi per fare investimenti e non è capace di farli o impara in fretta o è spacciato.
Bisogna costruire le condizioni per allargare l’area degli investimenti in tecnologia dove le imprese italiane eccellono, e qui si è fatto molto bene con la revisione del Pnrr, ma bisogna che questa capacità riguardi tutti gli investimenti pubblici, tutta la pubblica amministrazione nazionale e territoriale. Al posto di fare ogni giorno una discussione sul nulla, si cominci intanto a dire che la riforma degli incentivi fiscali per investire in tecnologia la abbiamo già fatta per le imprese italiane e la nuova dote del nuovo Pnrr consoliderà i risultati e, allo stesso tempo, sporchiamoci le mani per capire da qui ai prossimi sei anni che cosa stiamo facendo per creare condizioni analoghe di investimenti pubblici in tecnologia e, di conseguenza, per creare un contesto di crescita duratura che sostenga l’economia e rafforzi la capitalizzazione delle nostre imprese.
Vogliamo cominciare a dirlo che questo è un Paese che ha un problema digitale pubblico grande quanto una casa sì o no? Come è possibile che siamo tra i primi tre Paesi al mondo in investimenti in robot in quasi tutti i settori merceologici produttivi privati e non si riesce a unire le 200 e passa piattaforme usate dai vari rami della sua pubblica amministrazione.
Ma è possibile ancora sentire dai capi di un’azienda come Tim, erede senza soldi e senza idee del primo operatore al mondo delle telecomunicazioni qual era STETTelecom, che si sta lavorando al Polo strategico nazionale per portare la pubblica amministrazione italiana sul cloud in sicurezza attraverso sistemi di protezione dei dati dei cittadini quando ogni ramo dello Stato nel digitale va per la sua strada e non si riescono a rendere operabili tra di loro e unificare le varie reti? Abbiamo sempre chiesto e continueremo a chiedere un investimento dell’Europa da centinaia di miliardi in industria e in ricerca che ricalchi il modello americano, ma con il digitale che ci ritroviamo anche questo grande investimento europeo non verrebbe attratto dall’Olanda, dalla scassatissima Germania o da altri paradisi fiscali invece che da noi?
Se non riusciamo ancora a digitalizzare la macchina burocratica e quella della giustizia e non riusciamo a farlo completamente entro sei anni neppure con i soldi del Pnrr potendo finalmente agire dentro un quadro programmatico serio, con la cassa a disposizione, allora vuol dire che abbiamo rinunciato noi a darci un futuro. Su questo punto il governo Meloni, che pure con Fitto ha saputo fare le scelte giuste per favorire gli investimenti in tecnologia e ridare slancio alla macchina pubblica, deve darsi una mossa. Sarà un caso, ma Modi ha chiuso la sua presidenza del G20 rivendicando i risultati raggiunti nella digitalizzazione come motore della super crescita indiana. Nemmeno questo ci spinge a capire da dove dobbiamo cominciare e magari anche chiedersi perché ci siamo fermati visto che una spinta era stata data nella prima fase del Pnrr?
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