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I soldi ci sono, da un minimo di 21 a un massimo di 25/26 miliardi, ma non si spendono. Governo e opposizioni prendano atto che ministeri e Regioni con poteri speciali funzionano malissimo e non dialogano tra di loro. Serve una struttura unica specializzata che indirizzi e guidi gli interventi revocando le deleghe a chi è in ritardo. Va fatto non domani, ma oggi. Si tuteli da ogni azione civile chi usa i poteri decisionali facendo il bene del Paese e viene aggredito dal malcostume italiano di bloccare tutto e poi di piangere i morti e chiedere alle Procure di intervenire. No, basta, se si vuole cambiare questi giochetti devono finire. Si segua il modello Fitto per il Pnrr e si pensi tutti insieme non all’Italia dei prossimi cinque, ma venti anni.
I soldi ci sono, nonostante il maxi debito pubblico italiano, i soldi per mettere in sicurezza il territorio dell’ex Bel Paese ci sono. A volte questi soldi sono anche troppi. A portare l’Italia sull’orlo della sua disintegrazione fisica mentre ha un’economia che scoppia di salute invidiata nel mondo è il male ereditario della nostra strutturale incapacità di spendere che riguarda Regioni e ministeri.
La logica scelta delle tessere, che sono i capi delle Regioni commissari straordinari per l’acqua e la messa in sicurezza del territorio, non funziona. Perché queste tessere non fanno insieme il mosaico del Paese che risplende con le sue bellezze e corre le sue differenti velocità, ma piuttosto quello della sua frammentazione decisionale che porta alla paralisi di tutti e alla vergogna civile di fango e morte.
Abbiamo documentato ieri che sui saldi delle contabilità speciali dei presidenti commissari delle Regioni ci sono 1,5 miliardi che sono giacenze di conto corrente mentre dovevano servire a mettere in sicurezza almeno uno dei mille fiumi che tracimano. Una vergogna, punto. Così come è sotto gli occhi di tutti lo scandalo dell’utilizzo dei fondi di coesione 2014/2020 che coinvolge le Regioni e a maggio del 2023 è fermo al 34% del totale, cioè, nulla quasi tre anni dopo l’ultima scadenza.
Un nulla impiegato per di più in un grande ignobile marchettificio regionale di feste patronali e favori agli amici degli amici mentre in Emilia-Romagna frana il territorio di un’area che vale il 9% del Pil italiano e in tutte le regioni sono a rischio pezzi decisivi di manifattura e agroindustria da record intorno a questo o quel fiume da un capo all’altro del Paese. A noi basterebbe che la si smettesse almeno di chiamarli governatori questi presidenti di Regioni perché l’Italia non è gli Stati Uniti e l’Emilia-Romagna non è il Texas e noi non siamo uno Stato federale.
Siamo prigionieri di un pericolosissimo modello di federalismo all’italiana che ha indebolito le amministrazioni centrali e annientato, una a una, tutte le strutture specializzate nazionali. Quelle che avevano trasformato un Paese agricolo di secondo livello in una potenza economica mondiale. Siamo ridotti così e dobbiamo anche sorbirci i sermoni quotidiani di quei signori della sinistra e della destra che con la riforma del titolo quinto della Costituzione hanno distrutto il Paese e che invece di sparire per sempre dopo avere chiesto scusa in ginocchio ai loro nipoti continuano a dispensare riveriti il loro verbo. Questa ipocrisia ci fa venire il voltastomaco. La realtà italiana è che il ministero dell’Ambiente ha stanziato in un ventennio, dai primi anni 2000 a oggi, circa 7 miliardi di euro per un totale di oltre 6.000 progetti finanziati. La realtà italiana è che nel 2019 è stato approvato un Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (c.d. Piano “ProteggiItalia”, dpcm 20 febbraio 2019) che vale 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030.
La realtà italiana è che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha dedicato al dissesto idrogeologico una specifica attenzione nell’ambito della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e ha destinato a tale emergenza dal 2020 al 2026 un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del ministero della Transizione ecologica per progetti già in essere con risorse già in bilancio e 1,200 mld della Protezione civile, di cui 800 milioni costituiscono risorse aggiuntive.
Secondo una stima, ancorché ancora grossolana, si varia da un fabbisogno teorico finanziato per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale che va da un massimo di circa 25/26miliardi di euro a un minimo di 21 e passa miliardi a seconda se nel computo si tiene conto o meno delle risorse assegnate al ministero dell’Interno pari a circa 3,8 miliardi di cui si discute su quanto siano o non siano strettamente legate alla difesa del territorio. Solo per amore della verità il fenomeno idrogeologico non è come quello di un terremoto. Non esiste un problema di imprevedibilità per la gestione della messa in sicurezza dei territori, ma standard minimi da onorare e risorse finanziarie da avere e sapere spendere.
A questo punto, Giorgia Meloni ha fatto bene a anticipare il suo rientro dal G7 di Tokyo e la Lega farebbe bene a prendere coscienza che l’ubriacatura del regionalismo fuori dalla storia e dalle corde di questo Paese è finita. Facciano altrettanto le opposizioni, sia il Pd che su questo regionalismo malato ha colpe gravissime sia i Cinque stelle che hanno fatto poco e male al ministero dell’Ambiente con il Conte 1 e 2 proprio nella spesa contro il dissesto idrogeologico. Tutti insieme prendano coscienza che ministeri e Regioni con poteri speciali funzionano male e non dialogano tra di loro. Il governo, con il sostegno dell’opposizione, vari in legge di assestamento con la modalità del decreto attuativo immediatamente esecutivo un Fondo ventennale con risorse pari al 3% del Pil annuo e la contestuale “Agenzia di controllo e gestione” che raccolga il meglio delle competenze non lottizzate che indirizzi, coordini tutti gli interventi e revochi le deleghe a chi è in ritardo o non usa i poteri speciali.
Questo non bisogna farlo domani, ma oggi, anzi ieri. Soprattutto bisogna tutelare da ogni azione civile chi userà i poteri decisionali facendo il bene del Paese e sarà aggredito dal malcostume italiano più o meno ambientalista prima di bloccare sempre tutto e poi di piangere i morti e chiedere alla Procure di intervenire. No, basta, se l’Italia vuole cambiare questi giochetti devono finire. Si segua il modello Fitto per il Pnrr e si pensi tutti insieme non all’Italia dei prossimi cinque, ma venti anni.
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