Alessandra Ricci
6 minuti per la letturaSono stati fatti passi in avanti, ma bisogna sporcarsi le mani con chi ha più potenzialità inespresse e salire di livello affiancando chi fa meglio di francesi e tedeschi sui mercati del mondo. Viviamo un momento magico di cui il gruppo Sace ha il dovere di essere protagonista su ogni territorio del globo altro che stilare la Mappa dei Rischi 2023 con un quadro connotato da debolezza del ciclo economico e da incertezza geopolitica. Serve chi indirizzi e accompagni gli investitori invece di fare i soliti convegni con i soliti imprenditori privilegiati mentre spesso le piccole imprese più dinamiche, soprattutto del Sud, sono ignorate e quelle grandi scelgono la protezione del concorrente francese. Serve subito un gioco di squadra sul mercato della manifattura e energetico del Mediterraneo che è la storica opportunità che ha oggi l’Italia per consentire all’Europa di fare crescita aggiuntiva.
Abbiamo segnalato il problema della Sace di oggi e della sua guida perché chi di dovere che è l’azionista pubblico ci metta la testa e faccia le sue valutazioni senza pregiudizi. Perché la migliore economia esportatrice europea che è quella italiana non merita oggettivamente una Sace che certo onora la sua ragione sociale di offrire competenze integrate, servizi assicurativi e finanziari, garanzie per l’accesso al credito, ma lo fa con un passo non all’altezza della sfida del momento che vuol dire sporcarsi le mani con chi ha più potenzialità inespresse e salire di livello nell’affiancamento totale di chi ha dimostrato di sapere fare meglio di francesi e tedeschi sui mercati del mondo.
Siamo dentro un momento magico italiano di cui il gruppo Sace ha il dovere di essere protagonista su ogni territorio del globo accanto alle imprese italiane e non può certo cavarsela con la Mappa dei Rischi 2023 che segnala un quadro connotato da debolezza del ciclo economico come da incertezza geopolitica e allerta climatica e energetica. Non è possibile che un Paese che ha dimostrato di riuscire a fare esportazioni a un ritmo di crescita del 20% all’anno, pari a più del doppio di quelle tedesche primatiste d’Europa, debba avere al suo fianco un motore assicurativo, finanziario e di protezione su tutto che offre condizioni meno competitive delle consorelle francese e tedesca.
Aveva raggiunto la Sace con la precedente guida, Pierfrancesco Latini, di cui questo giornale con una campagna giornalistica chiese espressamente e ottenne la rimozione, punti inimmaginabili di burocratese e pressoché zero risultati nella gestione della cosiddetta operazione liquidità nei momenti fondamentali della fase calda. Al punto che più che aiutare le imprese italiane queste venivano sommerse di richieste formali che si traducevano in vincoli e oneri. Non avremmo mai creduto che con la nuova amministratrice delegata, Alessandra Ricci, si perpetuasse questo clima di insensibilità rispetto all’occasione storica che l’intero Paese sta vivendo grazie al dinamismo delle sue imprese esportatrici del Nord come del Sud.
Che non vuol dire che partendo da dove si è partiti non si siano fatti passi avanti, ma che questi passi sono decisamente insufficienti. È evidente che un’azione imponente del sistema Sace-Simest a favore dell’intera filiera di import-export italiana che potesse non dico eguagliare ma almeno ridurre le distanze dagli operatori di settore francese e tedesco avrebbe un effetto moltiplicatore per l’intera economia italiana, la sua capacità di produrre reddito e lavoro buono. Garantire questo risultato oggi non è più un atto facoltativo, ma un obbligo assoluto. Perché in questo Paese di esportatori di qualità deve essere impossibile pretendere un minimo di attenzione vera dai nuovi vertici della Sace?
Che cosa impedisce loro di ritrovare lo spirito di stagioni dove operava gente competente che aveva visione e si intendeva di mercati, di imprese e di finanza? È possibile che non ci siano più donne e uomini che sappiano indirizzare e accompagnare gli investitori invece di fare i soliti convegni con i soliti imprenditori che godono di ogni sorta di privilegio mentre la miriade di piccole imprese molto più dinamiche e vitali soprattutto del Sud vengono troppo spesso ignorate o accantonate?
Ma come è possibile che non ci sia neppure un minimo di attenzione e interesse, non di obbligatorio gioco di squadra, sul grande mercato potenziale energetico e della manifattura del Mediterraneo che è l’unica vera, storica opportunità che ha oggi l’Italia per consentire all’Europa di fare crescita aggiuntiva e guadagnare la sua indipendenza energetica? Qualcosa che dovrebbe fare saltare sulla sedia i vertici della Sace ed alzare preventivamente antenne pronte a cogliere ogni minima iniziativa che si muove in questa direzione a livello politico, economico e di focalizzazione strategica su quei mercati e sulle loro potenzialità anche in termini di protezione e sostegno del capitale privato.
Ma almeno lo sanno alla Sace, alla Simest e così via, che oggi ci sono più consumi nelle macchine di base in Italia che in Germania? Che il sorpasso è addirittura avvenuto nell’ultimo anno perfino nel settore delle macchine utensili lavoranti per deformazione (presse e altro)? Che gli investimenti 4.0 hanno favorito la crescita dell’innovazione di prodotto e di processo e che questi investimenti permettono di marciare verso il miracolo dei 650 miliardi di export made in Italy e che a determinarli non lo sono di certo i librettini della Sace che non a caso viene spesso scartata dalle imprese italiane a favore della francese Coface o della tedesca Hermes molto più efficienti nell’analisi del recupero e del rischio crediti e capaci di offrire servizi a prezzi di mercato più competitivi della Sace. Tutto ciò vuol dire o no che queste imprese italiane, soprattutto quelle che non vanno ai convegni e hanno meno debiti diventati inesigibili, hanno invece voglia di produrre, comprare tecnologia, fare ricerca, conquistare mercati?
Perché la ricerca di base importantissima la fanno le università e le grandi aziende, ma quella delle imprese va oltre perché è ricerca applicata. Si chiedono oppure no alla Sace perché in Germania e Francia le imprese si assicurano su tutto e procedono velocemente su tutti i mercati mentre in Italia ciò accade molto meno? Perché non si muovono loro e continuano a ignorare l’altro mondo che è quello del Mediterraneo con le due sponde italiana e del Nord Africa che rientrano peraltro nel core business della sfida di politica estera e economica del governo Meloni? Siamo un Paese che ha l’oro in casa ma ha abolito il ministro del commercio con l’estero, ha una Sace che pensa a fare gli studi macro e sembra ignorare Sud e Mediterraneo, che è capace di fermare tra un comma e l’altro di questa o quella norma da applicare o inventata anche un treno in corsa come è oggettivamente quello italiano delle esportazioni.
Per questo diciamo che se si vuole ragionare da sistema Italia e fare in modo che il treno in corsa acceleri ulteriormente, si facciano analisi concludenti senza pregiudizi sull’operato di chi guida queste società chiave in un Paese esportatore come il nostro. Lo si faccia con urgenza e si guardi anche a figure commerciali umiliate ai piani più bassi che dimostrano l’umiltà di conoscere cose e persone e rivelano un dinamismo imprenditoriale e finanziario che almeno soddisfano i più fortunati che riescono ad arrivare a dialogare con loro. Il miracolo nascosto italiano si tutela facendo le scelte giuste per la gestione di questi snodi delicatissimi e non dimenticandosi mai di continuare a fare politiche fiscali che incentivino l’innovazione e la portino a sistema. Fare rete, soprattutto nel Sud, è addirittura obbligatorio. Svegliate, se ne siete capaci, la bella addormentata Sace.
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