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Se l’America è destinata a voltarsi indietro, è tempo che l’Europa si apra verso est; E per chi continua a cantare le lodi di un atlantismo ingenuo: la vera sfida oggi non è nella fedeltà, ma nella sopravvivenza
Lo show Trump-Harris, nell’ultimo atto di questo show globale, assume toni poco rassicuranti. Emergono infatti due volti di un Occidente confuso, smarrito tra i richiami all’autorità maschile nostalgica e un progresso che si fa più slogan che sostanza. Da una parte, c’è Kamala Harris, che cerca di farsi paladina del clima e dei diritti, ma con la forza di un’ombra alle prese con una politica di compromessi; dall’altra, Trump, l’uomo che ha fatto della sua mascolinità un’epopea, il profeta di un’America “vera” che guarda l’Europa dall’alto in basso. Questi Stati Uniti di nuovo isolazionisti minacciano la nostra economia con il pretesto del “patriottismo economico”. E l’Italia si ritrova ancora una volta in balia delle maree d’Oltreoceano.
I nostri vini, il nostro artigianato, i nostri beni di lusso? Penalizzati, in balìa dei dazi. E intanto, con un’Europa fiaccata dalla crisi, la promessa trumpiana di un ritiro dal conflitto ucraino ci lascia l’incubo di un continente armato e impoverito. In una mossa che pare più una vendetta che una strategia, Trump metterebbe a dura prova la NATO, riducendo l’Alleanza a una rissa di vicini di casa separati da recinti malandati. A quale prezzo, ci si domanda, dobbiamo abbracciare la difesa autonoma? La risposta è una militarizzazione forzata, che rischia di cannibalizzare le risorse per istruzione e sanità, il tutto per assecondare un’America troppo impegnata a leccarsi le proprie ferite per prendersi cura del suo “vecchio alleato” europeo.
Harris, dal canto suo, si presenta come l’ultima speranza per evitare il ritorno a questo sogno tossico di “glorie passate.” Ma è una figura troppo fragile, troppo scollegata dai veri temi progressisti che il mondo attende dalla sinistra. E mentre ci illudiamo di poter rimanere neutrali nella sfida tra USA e Cina, il Dragone si rafforza, indifferente ai nostri tentativi di ostracismo. L’Europa, ostinata a ergersi a giudice di Pechino, si rifiuta di vedere che il futuro commerciale non può più prescindere dall’Oriente. La Cina sarà forse un colosso in crisi, ma è pronta a colmare i vuoti che gli Stat Uniti lasceranno.
Che piaccia o no, l’Europa è al bivio, chiamata a diventare adulta e autonoma. Questo non significa abbracciare Pechino senza riserve, ma prendere coscienza che la chiusura verso l’Asia ci renderebbe solo più fragili. Se l’America è destinata a voltarsi indietro, allora è tempo che l’Europa si apra, pragmatica e senza illusioni, verso est; E chi continua a cantare le lodi di un atlantismo ingenuo farebbe bene a rendersi conto che la vera sfida oggi non è nella fedeltà, ma nella sopravvivenza.
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