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Fermare l’autonomia conviene a tutti ma una riduzione del danno è ciò che serve: riscrivere il testo senza spaccare ulteriormente il Paese


Si parla di riduzione del danno quando si ritiene che l’unica strada percorribile sia attenuare gli effetti negativi di un male che è già in essere. Nella cura delle tossicodipendenze è una terapia molto applicata.
Mutatis mutandis è quello che si dovrebbe fare ora con l’autonomia differenziata: non spaccare il Paese più di quanto già non lo sia; Fermare la Lega, mettersi intorno ad un tavolo, e riscrivere quel testo che penalizza il Meridione riconoscendo il valore di un federalismo non competitivo e solidale.

A chi giova lo scontro? Davvero la premier Giorgia Meloni pensa che nell’attuale situazione internazionale, con Putin che minaccia l’uso dell’arma atomica e Netanyahu pronto a invadere il Libano con le truppe di terra, l’Italia si debba sfidare con un referendum Nord contro Sud? Chi vogliamo far ridere? Davvero il centrodestra pensa che sia sufficiente giustificarsi dicendo che fu la sinistra a voler riformare il Titolo V? Come se la coazione a ripetere lo stesso errore – dimenticando che all’epoca loro votarono contro – fosse una colpa meno grave.
Le parti, come spesso capita, si sono invertite. Non un capolavoro di reciproca coerenza diciamolo. La sostanza però è la stessa: quella riforma fu un errore. La riprova è che a distanza di 20 anni non ha trovato attuazione. I Lep che erano stati previsti non ci sono ancora.

Una prima frattura c’è già stata.
Ed è visibile nel disorientamento di tanti elettori di centrodestra che si riconoscono in questo governo ma non hanno alcuna intenzione di assecondare le smanie tardo-secessioniste della coppia Calderoli-Salvini.
L’avvilente sensazione di molti osservatori è che vi sia a Palazzo Chigi e dintorni una sottovalutazione dei danni diretti (e collaterali) che comporterebbe un eventuale scontro.
L’attenzione che la premier sta (giustamente) dedicando ai temi di politica estera l’ha forse distolta da quello che sta accadendo nel nostro Mezzogiorno? Non basta spendere belle parole, ripetere il ritornello delle potenzialità che avrebbe un Sud al centro del Mediterraneo, se nel frattempo c’è chi sta lavorando per ampliare la forbice delle disuguaglianze (riscrivendo la Costituzione) nell’Adriatico e nel Tirreno.
Passi il modo spregiudicato con il quale si è dato il via libera alla legge Calderoli. Ingoiando un rospo con la convinzione che, una volta approvata la legge, non si ci sarebbero state conseguenze. Che sarebbe bastato mettere un po’ di sabbia negli ingranaggi per bloccare quel marchingegno che era stato architettato dal ministro delle Riforme e poi virare dritti sul Premierato.

Passi la leggerezza con la quale, nei giorni in cui si votavano gli emendamenti alla Camera, gli esponenti di Fratelli d’Italia sostenevano – con un filo di ipocrisia, fateci dire – che la legge sarebbe rimasta inapplicata, resa innocua «dai paletti che noi abbiamo messo».
Ma è intollerabile che ora, dinanzi al misfatto quasi compiuto, ci si nasconda dietro Antonio Tajani tacendo, pur pensandola allo stesso modo.
Su quella legge cocciutamente imposta dal Carroccio i due partiti alleati hanno le idee chiare: vorrebbero congelarla ad libitum. Peccato, però, che gli unici a dirlo apertis verbis siano solo gli azzurri. Meloni ha in serbo forse una carta segreta? Pensa in cuor suo che la Consulta lo boccerà, amputandolo prima che sia cominciata la stagione referendaria?
Se così fosse, si sbaglia. Una bocciatura per via giudiziaria, secondo qualcuno (leggasi: correnti dem ), sarebbe persino auspicabile dinanzi a una probabile sconfitta (il quorum è un ostacolo pressoché insormontabile). Un conto è prendersela con gli Ermellini, un altro dover fare i conti con un eventuale flop elettorale.

È un fatto che dopodomani il ministro Roberto Calderoli riceverà ufficialmente il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, per mettere a punto il percorso. Verranno decise le tappe che porteranno alle intese tra governo e Regione per concedere l’autonomia differenziata per le 9 materie che non richiedono la determinazione dei Lep.
L’incontro tra ministro e governatore cade a fagiolo: il 6 ottobre quel che resta delle camicie verdi si radunerà a Pontida. Non sappiamo se nel programma è previsto anche il rituale celtico dell’alambicco calato nel sacro fiume Po, ma è di questo genere di amenità che stiamo parlando.
La Lega non ha più nulla perdere, è costretta a rianimare il feticcio. L’erosione dei consensi la ributta nel suo passato remoto. L’autonomia è l’ultima carta che può giocarsi per recuperare un briciolo di credibilità nel suo vecchio elettorato. È l’unica forza politica che non teme di spaccare in due il Paese. Anzi. Nel gioco dello Scopone, quando l’avversario continua a prendere tutte le carte non ti resta che sparigliare.

E gli altri? Che interesse hanno? Chi glielo fa fare? Meglio trovare un accordo, evitare un referendum che, comunque vada, finirà male per tutti o quasi. Perché dopo il Veneto, toccherà alla Lombardia, al Piemonte e alla Liguria che hanno già inoltrato le loro richieste.
Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto (Forza Italia), ha chiesto una moratoria. Ha lanciato un appello che i suoi alleati hanno finora ignorato. A convincerli non è bastata neanche la valanga di firme raccolte dal comitato per l’abrogazione dell’autonomia differenziata. La Lega accelera e tra un po’ sarà troppo tardi.


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