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Bjoern Hoecke

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Sveglia: un partito con espliciti riferimenti al nazionalsocialismo hitleriano ottiene oltre il 30% dei suffragi in due Länder della Germania. E’ un segnale oltre ogni livello di guardia


Inutile girarci attorno. Ci si può raccontare che Turingia e Sassonia rappresentano soltanto il 7% della popolazione tedesca. Si può aggiungere che l’onda di protesta antiglobalizzazione sta vivendo la sua coda conclusiva, che perlomeno il picco più alto è già stato raggiunto e stiamo attraversando in molti contesti la fase di normalizzazione e di inserimento di tali movimenti nei sistemi liberal-democratici e dunque non poteva essere risparmiata la Germania. Eppure, che un partito con espliciti riferimenti al nazionalsocialismo hitleriano arrivi ad ottenere oltre il 30% dei suffragi in due Länder della Germania è un segnale oltre ogni livello di guardia.

La crescita costante di AfD nei suoi undici anni di esistenza è un fenomeno, da un punto di vista dell’immaginario storico-politico europeo, che ha un impatto non paragonabile al successo britannico del movimento di Nigel Farage in epoca di Brexit o alla crescita costante del Rassemblement National nel contesto francese. Peraltro, proprio in Turingia nel 1929, i nazionalsocialisti entrarono al governo regionale anticipando di quattro anni la presa di potere di Hitler. Chiarito questo elemento simbolico, e i simboli in politica hanno un peso e troppo spesso si finge di dimenticarlo, si possono introdurre alcune riflessioni relative al contesto tedesco e più in generale all’ennesima impasse nazionale destinata ad impattare sull’evoluzione del processo di integrazione europeo.

IL CROLLO DELLE FORZE DI GOVERNO E SCHOLZ, CANCELLIERE CON PIU’ BASSO GRADIMENTO

Prima di tutto il successo di AfD nei due parlamenti regionali, al primo posto in Turingia e al secondo in Sassonia, deve essere letto insieme ad altri due dati di estrema rilevanza. Da un lato il crollo delle forze di governo, Spd in testa. Dall’altro il clamoroso successo del partito personale dell’ex dirigente di estrema sinistra Sahra Wagenknecht che in Turingia supera l’11% e in Sassonia addirittura il 15% e che entrerà a pieno titolo nelle trattative per costituire i due governi regionali.
La sua BSW presenta un mix di statalismo anti-immigrati in politica economica e di critica all’Alleanza atlantica e conseguente filoputinismo in politica estera. Da notare che su immigrati e politica internazionale le posizioni di estrema destra ed estrema sinistra sono affini e si tratta di un oggettivo problema per il futuro della coalizione “semaforo” nell’anno che dovrà condurre alle elezioni legislative, ma in prospettiva anche un elemento da non trascurare per la Cdu-Csu, in testa ai sondaggi per guidare il Paese nel 2025.

Il secondo elemento è dunque di natura nazionale. In attesa dell’altro passaggio elettorale del 22 settembre nel Land attorno a Berlino del Brandeburgo (a guida Spd), la coalizione Spd-Verdi-Liberali sembra vacillare e più ancora Olaf Scholz, il cancelliere con il più basso gradimento della storia politica tedesca post-bellica.
Il discredito dei cosiddetti partiti tradizionali o di governo è tale che anche un partito come AfD, guidato in Turingia da un leader pluricondannato per aver utilizzato gli slogan delle SA, tenuto sotto stretta osservazione dai servizi segreti e indagato per aver svolto riunioni con elementi neonazisti che orchestravano un progetto di re-emigrazione di massa dei rifugiati giunti in occasione della crisi dei migranti del 2013, è accreditato dai sondaggi nazionali come secondo partito del Paese, dietro solamente alla Cdu-Csu.

IL VOTO AFD E L’ARRETRATEZZA DELLA SOCIETA’ CIVILE

Il voto AfD sembra scandalizzare sempre meno l’elettorato tedesco e, come amano affermare i politologi, la sua normalizzazione appare in fase avanzata.
Il terzo elemento da evidenziare è a metà strada tra la dimensione locale e la situazione complessiva del modello, prima di tutto economico e poi socio-politico, tedesco. Esiste una spiegazione locale in questo successo in due Länder orientali.

Una riunificazione subita, una rivoluzione in realtà mai messa in atto (a differenza, ad esempio, di contesti come quello polacco o dell’ex Cecoslovacchia), una tradizione di arretratezza in termini di società civile legata al passato comunista ma le cui radici affondano ben più in profondità in epoca ottocentesca. E infine, nonostante standard di vita nemmeno comparabili rispetto a quelli degli anni della DDR, non mancano i continui paragoni con contesti della parte occidentale del Paese, si pensi alla Baviera solo per fare un esempio, oggettivamente irraggiungibili.

Il tema della rivolta contro le élite, dell’antieuropeismo, della desertificazione sociale e del declassamento individuale regge anche nel contesto tedesco, ma non deve essere esasperata o meglio deve essere accostata ad alcuni elementi economici di natura strutturale, che risalgono agli anni d’oro della coppia Merkel-Schäuble e che Scholz e i suoi alleati giallo-verdi non hanno per nulla modificato. La Germania dell’ultimo decennio si è crogiolata in una sorta di rendita di posizione costruita su fondamenta russo-cinesi, cioè gas e petrolio via Mosca a buoni prezzi e sbocco prioritario verso Pechino per i prodotti tedeschi.

LA GERMANIA CI SVEGLIA MA SEMBRA AVER SMARRITO LA VIA DELLA GOVERNABILITA’

A partire dal Covid e ancor di più dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’incantesimo è svanito e i danni peggiori sono emersi. Da una parte la spesa quasi nulla per investimenti in settori oggi determinanti (su tutti il digitale e l’intelligenza artificiale, ma non soltanto, si pensi alle infrastrutture ferroviarie). Dall’altra la motivazione principale di questa sterilità sul fronte della spesa: “l’ossessione per il debito” (di weimariana memoria) allargata al resto dell’area euro, sino a giungere a costituzionalizzare tale “culto del risparmio” in modo più rigido rispetto agli altri Paesi della Ue. La Germania, che sembra aver smarrito la via della governabilità, è prima di tutto un Paese economicamente in difficoltà, che deve riadattare il proprio modello non in linea con l’evoluzione di questo primo quarto di XXI secolo.

Come è noto, alla crisi del “laboratorio tedesco” si accosta quella in corso nel contesto francese. Parigi e Berlino rischiano di competere per lo scomodo premio di “malato d’Europa”, che al momento potrebbe essere attribuito ex aequo.
Al netto dei campanilismi nazionalistici e dei tentativi di accreditare l’idea di Parigi e Berlino in lacrime, mentre l’Europa del Sud cresce e fa sfoggio di stabilità governativa (tra Roma e Madrid), sul piatto vi sono almeno tre appuntamenti che necessiterebbero di un asse franco-tedesco meno incerottato.

La nuova Commissione von der Leyen

L’avvio della nuova Commissione von der Leyen è alle porte (con il prossimo importante discorso sullo Stato dell’Ue a metà mese). Il Consiglio europeo di ottobre dovrà dire qualcosa, magari di coerente, sull’approccio europeo al proseguimento della guerra russo-ucraina o, si spera, sulle prospettive di un negoziato di pace.
E infine giungerà l’esito del voto statunitense: che Europa si troverà di fronte il nuovo o la nuova inquilina della Casa Bianca?
Se i “novelli sonnambuli” del XXI secolo non hanno nemmeno colto la sveglia proveniente dall’Est teutonico, è tempo davvero di prepararsi al peggio.


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