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QUASI 300.000 sottoscrizioni in pochi giorni, apposte sulla piattaforma per la raccolta delle firme digitali a cui vanno aggiunte le firme sui documenti cartacei nei gazebo aperti in tutta Italia: l’obiettivo delle 500 mila firme è a portata di mano; parlo della richiesta di sottoporre a referendum abrogativo la legge sull’autonomia differenziata che penalizza il Sud, un incredibile successo, un exploit forse inaspettato. Certamente dalle forze politiche nazionali di sinistra, che ne vorrebbero acquisire i meriti e farne un vulnus contro il Governo Meloni. Ma anche dalle forze territoriali del Nord, stupiti da una reazione che non avevano prevista, convinti che il Sud, come sempre non avrebbe reagito.

Il fatto importante che si registra, con un andamento esponenziale dell’apposizione delle firme per il referendum contro l’autonomia, che probabilmente verranno nella maggior parte dei casi da elettori del Sud, è una mobilitazione che non si era mai vista prima. E che ha un consenso trasversale rispetto ai partiti, tanto che alcuni Governatori meridionali di Centro Destra, come Roberto Occhiuto, Vito Bardi, e in parte anche Nello Musumeci, adesso Ministro ma già Governatore della Sicilia nella legislatura precedente, stanno prendendo le distanze dall’accelerazione che alcuni Governatori settentrionali, guidati da Luca Zaia, vorrebbero imporre, acquisendo le autonomie per le materie non Lep.

La sensazione, sentendo parlare Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio, segretario di Forza Italia, ma anche ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, è che in molti non si erano resi conto di cosa stava portando avanti Roberto Calderoli. E che, messi di fronte alle azioni derivanti da una legge ormai approvata, cominciano a frenare bruscamente. Ma anche se dovesse rallentare, come probabilmente accadrà, il processo di realizzazione dell’autonomia differenziata, nulla sarà più come prima.

Sembrerebbe che il genio della lampada del Sud , che era racchiuso, costretto e imprigionato, stia finalmente uscendo fuori, manifestando tutta la sua potenza e la sua identità proprio per questo referendum. I primi segnali sono stati quelli relativi alla vittoria dello scudetto del Napoli, poi il totale cambiamento della vulgata sul Mezzogiorno, per cui Napoli e Palermo e Bari, da destinazioni da evitare, sono diventate delle mete ambite. E poi il racconto, alcune volte sopra le righe, del presidente del governo e del ministro Fitto, amplificato da alcuni quotidiani meridionali, sulla centralità del Mediterraneo e sul nuovo ruolo che questa parte d’Italia, una volta che i rapporti con la Federazione Russa si sono bloccati e non potranno essere ripresi prima di parecchi anni, potrà giocare nello scacchiere europeo e internazionale. Il piano Mattei, la Zes unica, la Batteria del Nord, alcuni solo slogan, danno la dimensione di qualcosa che sta mutando.

Ma c’è un fatto che è fondamentale rispetto al passato. Riguarda il cambiamento rispetto alla vulgata prevalente che un racconto pilotato dai media del Nord del Paese avevano fatto, convincendo delle teorie anti-Sud, spesso, anche la borghesia meridionale. Si tratta di alcuni paletti che sono stati completamente divelti. Il primo di questi è che il Mezzogiorno sia stato inondato di risorse. Il racconto prevalente era che lo Stato aveva riversato nella realtà meridionale delle somme incredibili che erano state sprecate. Un racconto che è stato ripreso anche recentemente da alcuni opinionisti dei giornaloni, ma che ormai non ha più presa, perché il Dipartimento delle politiche di Coesione ha calcolato in modo inconfutabile, e il nostro giornale ha tra i primi diffuso questa informazione, che se il pro capite, destinato dallo Stato centrale a ciascun individuo, fosse uguale, il Mezzogiorno avrebbe diritto ogni anno a un risarcimento di 60 miliardi.

Il concetto della spesa storica e dell’ingiustizia derivata dall’applicazione di essa ormai non è più un’informazione che hanno solo alcuni addetti ai lavori, ma grazie a un lavoro tenace di alcuni media meridionali, di alcuni centri di ricerca con in testa la Svimez, e di pochi ma combattivi opinionisti del Sud, è arrivato a un pubblico più ampio e, soprattutto, all’intellighenzia meridionale, che finalmente comincia a dare una risposta diversa alla domanda tradizionale che recitava: di chi è la colpa del sottosviluppo del Mezzogiorno? Infatti, mentre prima la risposta era: è colpa nostra perché non sappiamo autogestirci, adesso andando alla testa dell’acqua si riescono a vedere quali sono le responsabilità di uno Stato centrale che ha considerato questa parte come residuale e, alcune volte, una parte da fare affondare da sola. Che non ha investito nella scuola adeguatamente, nel tempo pieno, negli asili nido, nella lotta alla dispersione scolastica, non riuscendo a formare quella consapevolezza per un voto avvertito. Che ha consentito la desertificazione di una realtà che continua ancora oggi, a perdere ogni anno 100mila persone qualificate, con un costo, per le casse delle Regioni di provenienza degli emigranti, di circa 20 miliardi. Che ha fatto fermare l’Autostrada del Sole per anni a Napoli e l’Alta velocità ferroviaria a Salerno. Questa grande consapevolezza oggi del Sud si riversa nel voto a favore del referendum, contro la legge sull’autonomia differenziata, ma ha implicazioni molto più ampie di una realtà che pretende ormai, incredibilmente, l’equità territoriale.


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