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Referendum sull’Autonomia differenziata: emergono i primi dissapori sul fronte del No. Ma il dovere è quello di crederci
Si fa presto a dire referendum. Perché proprio mentre la Regione Puglia si aggiunge alle 4 altre regioni governate dal centrosinistra che hanno votato la richiesta di abrogazione totale o parziale della legge Calderoli, condizione necessaria per applicare l’art.75 della Costituzione, emergono i primi dissapori all’interno del cosiddetto “fronte del No all’autonomia differenziata“. Riflessioni a voce alta, pareri non richiesti, diserzioni, ammonimenti che il Nazareno finora ha rispedito al mittente. Per quanto ancora?
L’episodio accaduto ieri l’altro nell’emiciclo pugliese è la cartina di tornasole del disimpegno che aleggia in certe zone della ztl dem. Era in agenda il voto sul referendum ma si è invertito l’ordine del giorno cadendo nella trappola tesa dal centrodestra. Perché? Per votare una proposta di legge indecente: il reintegro del trattamento di fine mandato dei consiglieri regionali, circa 35mila euro, soppresso nel 2013. La proposta di legge è stata per buona sorte respinta nonostante le tante assenze sui banchi della maggioranza. Assenze che hanno fatto infuriare il presidente Michele Emiliano con richieste continue da parte dell’opposizione di verifica del numero legale. Inutile dire l’importanza anche simbolica che aveva il voto sulla richiesta del referendum. Le assenze si commentano da sole.
Perché vi abbiamo raccontato questo episodio? Perché c’è il sospetto che chi ha intrapreso questa battaglia contro il Dl Calderoli non sia abbastanza convinto Che forse ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Chi l’ha sposato la causa per spirito di squadra ha già messo le mani avanti sostenendo che comunque vada è ” persa in partenza”. Perché – è il ragionamento che si fa – se la richiesta di referendum abrogativo dovesse essere dichiarata ammissibile non supererà comunque la prova del quorum. Portare alle urne 13 milioni di elettori in più delle scorse elezioni europee è considerata una mission impossible. E allora perché stressare iscritti e volontari in piena estate per raccogliere il mezzo milione di firme necessario sapendo di andare incontro ad una sconfitta certa? Vale la pena dannarsi l’anima per non portare a casa niente?
Intorno a questi dubbi si sta lacerando quella parte disillusa del partito democratico. Prima di mettere di nuovo in mora Elly Schlein c’è chi ha provato a metterla in guardia, a suggerirle che “non è scivolando sulle posizioni di Maurizio Landini e della Cgil che si conquisteranno nuovi adepti, tantomeno esportando al Nord le richieste del Sud”. “Se spingi da una parte Elly, vedrai che ti troverai scoperta dall’altra, e al Nord il partito non se lo può permettere…”.
Il timore di chi soffia in questa direzione è che il pd possa fare la fine dei 5 Stelle. Radicarsi al Sud per diventare ininfluente al Nord dove la Meloni si espande e dove ha già lanciato un’opa sulla Lega di Salvini (uno dei motivi per i quali la premier ha schierato i suoi a difesa dell’autonomia differenziata pur non credendoci).
C’è nel pd e zone limitrofe chi stenta a farsene una ragione, a capire che la battaglia contro lo Spacca-Italia non è una battaglia qualsiasi, un modo come un altro per dare ossigeno alle proprie idee, una lotta di facciata, una battaglia ideale e di bandiera.
Non è così. Al contrario: contrastare l’autonomia differenziata è la madre di tutte le battaglie. Giacché non è in gioco solo il futuro del Mezzogiorno minacciato dall’egoismo delle regioni più ricche. Sono in gioco i valori fondanti. Non della sinistra, della destra o del centro ma della nostra Costituzione. Il diritto all’istruzione, alla sanità, il senso di uguaglianza che tiene insieme il Nord e il Sud di un Paese tipico di una comunità solidale. La competizione tra regioni non può essere spacciata per federalismo specie se alcune partono in posizione di vantaggio.
Sono concetti chiari e vanno esposti in modo semplice, senza avventurarsi in spiegazioni tecniche che comunque certificherebbero le stesse conclusioni.
Come era prevedibile si assiste invece al solito protagonismo dei soliti presidenti di regione, autoproclamatosi governatori. La scelta di supportare la richiesta di referendum per l’abrogazione totale dello Spacca-Italia facendola seguire da una seconda richiesta di abrogazione parziale, una sorta rete di protezione, dove atterrare in caso di dichiarata inammissibilità, rischia di depotenziare il referendum abrogativo e al tempo stesso legittimare una legge anticostituzionale. Sarà un caso ma mai come in questi giorni giornali fino a ieri silenti o accondiscendenti ospitano interventi di magistrati ed esperti che bocciano senza appello questa autonomia in salsa leghista perché contraria alla Carta. Francesco Drago e Lucretia Reichilin sul Corriere della Sera hanno riaperto un dibattito che non riguarda solo la legge di cui stiamo discutendo ma l’impianto previsto dalla riforma del 2001, riforma voluta dal centrosinistra, “non a caso mai attuata completamente”.
“Con l’autonomia differenziata – sostengono i due economisti – vengono meno allo Stato centrale strumenti di coordinamento delle politiche pubbliche”. E ancora, cogliendo un altro aspetto distorsivo dello Spacca-Italia: “In molte materie le politiche di una regione hanno conseguenze per quelle limitrofe e non solo. In questi casi senza coordinamento, ci sarebbe una sottoproduzione di beni pubblici essenziali e non è difficile immaginare un contesto di confusione normativa e di federalismo competitivo”. Sul Sole24ore Maurizio Meschino e Alessandro Palanza hanno spiegato perché la legge Calderoli 86/24 “non è una legge tributaria” e perché “non basta il collegamento nominale con la manovra di bilancio” e che dunque “ad un’attenta analisi non reggono i dubbi sull’ammissibilità” del referendum abrogativo”. Basta crederci.
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