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In America tutto è possibile e per queste elezioni Usa tutto ciò che accade sembra stato scritto dagli sceneggiatori di Hollywood


Tutto in America sembra uscito dalle stanze degli sceneggiatori di Hollywood. E, al contrario di buona parte del mondo, tutto, potenzialmente ha il potere di “reinventarsi”. Naturalmente mi riferisco alle elezioni presidenziali. Il ‘”supereroe” Donald Trump, attentato, immortalato trionfante (con qualche mese di anticipo) e con cerotto ipertrofico all’orecchio in ogni apparizione pubblica (forse) non è più lo scontato vincitore della corsa elettorale più importante del mondo. Il 21 luglio, dopo settimane di intense speculazioni, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato che non si ricandiderà alle elezioni presidenziali del novembre 2024 e ha sostenuto la vicepresidente Kamala Harris per prendere il suo posto.

Non che il suo “passo indietro” non fosse ampiamente previsto (e da quasi tutti auspicato). Ma quando poi i “pour parler” diventano realtà, le cose cambiano. Poche decine di minuti dopo il ritiro, lo stesso Joe, proclama su X (attenzione, proprio sulla piattaforma social più amata dai repubblicani) il suo sostegno a Kamala Harris. Ed è questo il fatto che scompiglia le carte. Per Donald non sarebbe stato preoccupante competere con una Michelle Obama, sicuramente personaggio di culto, sicuramente “iconica” ma con qualche punto di domanda sulla sua abilità politico-governativa oltre a una postura che sicuramente non polarizza le classi medie e medio-basse.

Kamala è diversa. Rappresenta il buono la continuità con l’amministrazione Biden, che ha messo in campo politiche importanti (un dato per tutti: l’occupazione durante il suo mandato ha raggiunto livelli record), ma senza problemi psicofisici. È una donna che sa come parlare al “ventre del Paese”. È una donna di origini indo-giamaicane e quindi capace di smuovere l’elettorato multietnico. È una donna che sa come parlare al “ventre del Paese”. È una donna di origini indo-giamaicane e quindi capace di smuovere l’elettorato multietnico. Ha commesso un errore molto pesante quando ha invitato i migranti a “non partire”.

IN USA TUTTO CONTA

Ma è un errore che adesso la rende vicina ai repubblicani. È una donna, e sarebbe la prima a occupare la stanza ovale. Prima di lei ci ha provato ossessivamente Hillary Clinton, ma non c’è mai riuscita in virtù della sua posizione “upper class” e di qualche scheletro nell’armadio. Attenzione. Non sto facendo gossip.
In USA tutto conta, dalle abitudini alimentari in su. E adesso? Donald sicuramente non può più dormire tra due guanciali. E forse farebbe meglio a mitigare il tono di certe proclamazioni come l’amicizia e il sostegno a Putin e Xi Jinping o la risoluzione immediata della questione ucraina. Proclamazioni che all’Europa stanca, titubante e un po’ claudicante qualche brivido lo provocano.

Perché se davvero dalle proclamazioni si passasse ai fatti, l’occidente al di qua dell’Atlantico sarebbe praticamente isolato e preda di un triumvirato sovranista, chiuso e poco propenso a compromessi o accordi che non siano di chiara e provata convenienza per lo zar, l’imperatore del dragone e il tycoon dai capelli rossi.
Se invece vincesse Kamala, sicuramente le cose andrebbero diversamente.
Le sue posizioni sono più morbide, sicuramente non ci sarebbe alcuno “strappo” con l’Europa, con la NATO e la postura rispetto alle “zone calde” del pianeta (Medio Oriente, Africa, Ucraina ecc.) sarebbe più negoziale e diplomatica rispetto al pugno di ferro di Donald.

UN VOLTO PIÙ PRESENTABILE

L’America, rispetto alle grandi leadership mondiali, seppur zoppicante e di certo non più così centrale, avrebbe un volto sicuramente più “presentabile”. Poi possiamo dire che Trump (che, tengo a ricordare, nella storia dei presidenti americani è stato forse la più evidente eccezione e non certo la regola) ha ridimensionato molto il Partito Repubblicano (già diviso nei suoi confronti) e sé stesso.

Ma il passato non può essere dimenticato, così come non si può dimenticare la sua identità. Lui rappresenta un élite chiusa che deve usare il repertorio dei proclami populisti per parlare al popolo americano. Kamala questo problema non ce l’ha. Lei è la ragazza della media borghesia di Oakland. Lei è quella che conosce bene il sogno americano perché l’ha realizzato. E sarà proprio questa la variabile che determinerà la vittoria dell’uno o dell’altra. La capacità di far sognare agli americani un sogno inarrivabile, ma al tempo stesso goloso, di towers newyorkesi, vita ad alta quota e orgoglio nazionalista. O quello, un po’ più realistico, di farcela con la forza della determinazione e del talento. Statisticamente, il secondo ha sempre avuto la meglio. Ma i film di Hollywood non hanno quasi mai un finale scontato.


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