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Un dibattito acceso quello sull’autonomia differenziata la cui strada più percorribile pare sia l’abrogazione totale


Il dibattito politico sull’autonomia regionale differenziata si è spostato dalle aule parlamentari ai consigli regionali e all’azione delle forze politiche e coinvolge, ovviamente, l’opinione pubblica e i cittadini che potrebbero essere coinvolti in iniziative referendarie. La legge, contrassegnata con il numero 86 del 2024. È entrata in vigore il 13 luglio con il titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della costituzione “.
Si tratta di una legge ordinaria, e chi ne ravvisa forti criticità può attivare rimedi politici, chiedendone la abrogazione totale o parziale mediante referendum, oppure rimedi giuridici, se ne denuncia la illegittimità costituzionale. I due percorsi vedono come possibili titolari soggetti diversi e differenti iniziative e procedure.

Il rimedio politico per eccellenza è il referendum abrogativo dell’intera legge o di parte di essa. Il corpo elettorale, titolare della sovranità, sarebbe chiamato ad esprimere con questo esercizio di democrazia diretta, una volontà contraria o meno a quella espressa dalla maggioranza parlamentare con le procedure della democrazia rappresentativa. L’iniziativa di chiedere un referendum potrebbe essere presa da cinque Consigli regionali o da cinquecentomila elettori. L’ammissibilità del quesito referendario da sottoporre alla votazione del corpo elettorale, sarebbe valutata dalla Corte costituzionale.

Sono stati già affacciati dubbi sul se e sul come attivare questo tipo di percorso. Uno del tutto pratico riguarda la scarsa affluenza alle votazioni, che per un risultato utile richiede la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, soglia da tempo non raggiunta in occasioni precedenti.

È vero, tuttavia, che l’argomento in discussione suscita interessi e passioni anche della cittadinanza e potrebbe sollecitare la partecipazione popolare. In questo percorso si affacciano anche altri dubbi di carattere formale. Un quesito che richiede l’abrogazione dell’intera legge è il più semplice e chiaro.
È prevedibile che verrebbe contrastato sostenendo che si tratta dell’attuazione della costituzione, nel suo articolo 116, traendone argomento per sostenere l’inammissibilità. È un argomento con assai scarsa fondatezza.
Non si tratta di una legge costituzionalmente necessaria, come ad esempio quelle elettorali, e l’articolo 116 potrebbe egualmente essere attuato senza la mediazione di questa legge, che precisa procedure senza che sia necessario e piuttosto sembra restringere gli spazi dell’intervento parlamentare, rafforzando quelli Governo.

L’ABROGAZIONE PARZIALE DELL’AUTONOMIA

Un referendum abrogativo parziale presenta altre difficoltà o punti controversi, in particolare stabilire quali siano le disposizioni da porre ad oggetto del quesito referendario. Anzitutto è da ricordare che trattandosi di referendum abrogativo non sono ammissibili referendum manipolativi, che possano avere ad effetto l’introduzione di norme nuove .
Dal punto di vista procedurale potrebbe essere chiesta l’abrogazione di quelle disposizioni della legge che limitano tempi e modalità dell’esame parlamentare delle intese tra il Governo e le Regioni. Dal punto di vista sostanziale chi contrasta la legge potrebbe proporre l’abrogazione di alcune disposizioni che ne condizionano l’attuazione o i tempi e le modalità di attuazione, quali ad esempio aspetti che riguardano l’attribuzione delle risorse e il trasferimento delle funzioni alle Regioni come pure gli aspetti finanziari

LA STORIA DEL RICORSO

Diverso il percorso giuridico per giungere a una valutazione di eventuali incostituzionalità delle norme dettate dalla legge. Difficile e del tutto inattuale che si possa sollevare, come il più delle volte, una questione di legittimità costituzionale nel corso di un giudizio nel quale la legge debba essere applicata e si dubiti che sia incostituzionale. Ancora una volta possono essere protagoniste le Regioni, che entro sessanta giorni dalla promulgazione possono direttamente ricorrere direttamente alla Corte costituzionale, se ritengono che la legge leda la loro sfera di competenza.

Sotto questo aspetto possono emergere problemi relativi ai presupposti della percorribilità dell’autonomia differenziata, quali la effettiva e adeguata attuazione dell’articolo 119 della costituzione e degli interventi speciali “per rimuovere gli squilibri economici e sociali” e “per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”, come pure per risolvere contraddizioni tra livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come pure tra l’attribuzione solidaristica delle risorse e il mantenimento del gettito dei tributi riferibili al territorio regionale. Forse un giudizio di legittimità costituzionale offrirebbe alla Corte costituzionale la opportunità di definire questioni di principio, dal rapporto tra autonomia e unità nazionale, tra gettito fiscale locale e solidarietà territoriale.

È evidente che si apre un ampio campo di dibattito, che va ben oltre un atteggiamento superficiale, in una materia che segna la configurazione dello Stato nel suo insieme, la funzionalità, l’efficienza e la economicità dei servizi che deve fornire ai cittadini.


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