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Ursula von der Leyen e Joe Biden

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L’attentato a Trump rappresenta l’autentica realtà americana e ora l’Europa è costretta a crescere molto più in fretta


Senza volere entrare in inutili e odiosi complottismi, la fotografia dell’attentato di Trump (da premio Pulitzer) è la rappresentazione più autentica della realtà americana di oggi e di sempre. Bisognosa di un’epica costellata di eroi, eroi malati (in fondo Crook è un contemporaneo Giuda, il cui tradimento è funzionale al compimento del disegno complessivo) e di martiri patriottici. Il pugno alzato, la respirazione affannata che produce un “fight, fight”, il secret service che abbraccia Trump con dietro la bandiera americana potrebbero rappresentare la trama di un film di Hollywood.

In un Paese di cui, da sempre, la realtà ha bisogno, per essere vera, di una sceneggiatura avvincente. Ebbene sì, quanto successo in Pensylvania questo fine settimana va ben oltre il mancato assassinio di un Presidente degli Stati Uniti e ci dice molto del presente e del futuro che ci aspetta. Orientando lo sguardo all’oggi, l’attentato altro non è che una evidente manifestazione del degrado in cui versano gli USA e più in generale le democrazie occidentali. In primis, perché esemplifica quanto il Paese a stelle e strisce sia ormai prossimo ad una guerra civile tra opposte fazioni, non disposte a riconoscere autorevolezza e diritto di tribuna ad avversari politici.

Esplicita, d’altro canto, la crisi in cui versano i sistemi di sicurezza americani: si potrà pur dire che non è la prima volta che capita ad un presidente degli USA. Vero, ma le tecnologie e l’esperienza oggi disponibili rendono quasi surreale quanto verificatosi nei pressi di Detroit. Riprendendo quanto sopra evidenziato, oserei dire che gli USA non sono altro che la punta (avanzata) di un istituto, quale quello della democrazia, che oggi è più che mai in crisi. Basti pensare alle enormi tensioni sociali che si registrano in Francia, la continua ascesa, in termini di consenso, di movimenti di ispirazione quasi neo-nazista in Europa centrale e orientale.

Basti pensare alle enormi tensioni sociali che si registrano in Francia, la continua ascesa, in termini di consenso, di movimenti di ispirazione quasi neo-nazista in Europa centrale e orientale.
Nel complesso, il fallito attentato a Trump compatta ancor di più l’elettorato repubblicano attorno a una figura, che ormai ha le stigmate dell’eroe con un pathos, un’energia che Bin Laden aveva forse in gioventù (50 anni fa).
Vi sono, insomma, tutti gli elementi per ritenere che lo spregiudicato immobiliarista newyorkese ritorni alla Casa Bianca con l’elezione di novembre.

Ed è proprio a partire da questa prospettiva che comprendiamo quanto il tentato omicidio di sabato rappresenterà un game changer non solo per gli Usa ma per il resto del mondo: sia dal punto di vista economico che geopolitico (per quanto prevederne le mosse sia esercizio molto complicato).
L’attuazione del disegno politico di Trump porterà, in particolare sul fronte interno, ad accelerare il “fuori giri” del motore economico americano, che viaggia oggi a un ritmo da piena occupazione ma al costo di un indebitamento molto elevato. È infatti molto probabile, se i democratici verranno sconfitti, che i dazi aumenteranno ulteriormente, gli immigrati vengano almeno in parte espulsi, l’indebitamento cresca ancora in virtù dell’annunciato taglio delle tasse.

Tutti terreni fertili per l’innalzamento dei tassi, l’indebolimento del dollaro con ripercussioni molto rilevanti anche sul fronte europeo. Per due ordini di motivi. In primis, a seguito dell’automatico aumento del costo del denaro. In secondo luogo, per le ripercussioni negative in termini di export che paesi come Francia, Germania e Italia – privi di una strategia commerciale sostenibile – subirebbero a seguito della debole congiuntura americana.
Dal punto di vista geopolitico, il terremoto potrebbe determinare faglie nel (dis)ordine mondiale talmente significative da determinare la fine del mondo di Bretton Woods (costituitosi sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale).
A trarne i maggiori benefici sarebbero indubbiamente Cina, Russia e Iran, che da tempo scommettono sul declino delle democrazie occidentali e si troverebbero servita su un piatto d’argento la debole Europa sul tavolo negoziale internazionale.

Il Vecchio Continente versa infatti in una situazione di grande debolezza, non presenta alcuna identità politica degna di questo nome. L’avvento di Trump, che inevitabilmente assumerebbe una posizione fortemente dialettica nei confronti del Patto Atlantico e dei deboli Paesi europei, presterebbe dunque il fianco al più classico dei tentativi di ammiccamento commerciale, in virtù dell’enorme mercato interno cinese – e finanziario – grazie al ricollocamento in Europa degli investimenti oggi destinati a titoli del tesoro americano.

Il primo Paese a capitolare sarebbe la Germania, troppo dipendente dalle sirene del mercato cinese e da sempre in possesso di un’attrazione (speriamo non fatale) nei confronti del mondo russo. Le elezioni francesi del 2027 – nel caso di elezione della Le Pen – segnerebbero la definitiva capitolazione del disegno dell’Unione europea che abbiamo conosciuto fino a oggi.
Per non parlare delle conseguenze che potrebbe innescare in Medio-oriente e Africa, dove l’operazione di persuasione (economica) cinese e delle autocrazie potrebbe non più trovare ostacoli.

Letto in questa prospettiva, potremmo parlare di un attentato fallito dal punto di vista del suo target naturale (Trump) ma dalle enormi conseguenze sul fronte politico ed economico. Possiamo però nutrire anche qualche speranza. Potrebbe essere l’occasione per indurre l’Europa – che proprio questa settimana deve nominare i suoi nuovi vertici – a prendere coscienza della necessità di diventare adulta. Di agire la trasformazione da debole unione monetaria a soggetto politico unitario, in grado di reggere alle spinte e pressioni che un’America trumpizzata e il sistema delle autocrazie continueranno a infliggere.


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